legge-elettorale

Ed è arrivato l’ “Italicum”. Il (probabilmente) nuovo sistema elettorale. La quaglia ha quagliato o così almeno sembrerebbe.

Il buono di quanto proposto, ad oggi, consiste nel superamento del “Bicameralismo Perfetto” con una ridefinizione del ruolo del Senato. In sostanza le Leggi, anzichè rimpallare tra Camera e Senato (per le modifiche apportate da questo o quel parlamentare spesso a seconda dell’interesse della lobby di riferimento), verrebbero valutate ed approvate con una procedura molto più veloce.

Marginali, specchietti per le allodole o, per essere un po’ meno eleganti (ma per rendere l’idea) pura carne cruda da sventolare al popolo “assetato di sangue” politico, modifiche quali la riduzione del numero dei parlamentari o la stretta su rimborsi e stipendi dei Consiglieri regionali.

Premesso, poi, che la questione del ballottaggio o doppio turno è solo un dettaglio sul quale non vale la pena perdere troppo tempo, la nota triste è ben più corposa.

La prima e semplice riflessione sulla quale soffermarsi è che il dibattito politico, anzichè focalizzarsi sul merito delle riforme e del rilancio del Paese, si impantana nella forma. Per vent’anni abbiamo assistito ad una politica annichilita dai personalismi, ora ripartiamo (?) e siamo condotti nella palude delle regole del gioco da una “riforma” che i personalismi non li supererà, ma semplicemente ne creerà di nuovi.

Il livello di discussione è basso; talmente basso che dipende totalmente e sfacciatamente dalla riforma elettorale (il pensiero e la priorità, insomma, pare essere quello di comandare tranquillamente. Il come, si vedrà in seguito): la ricerca spasmodica è verso cavilli e vincoli che soddisfino i principali capi-partito e la loro visione delle rispettive corti. Coloro che, in sostanza, possono imporre le regole agli altri o rovesciare il tavolo e mandare tutti con le gambe all’aria.

Una riflessione sulle “preferenze” che paiono essere, ancora, bocciate e non rientrare nel nuovo sistema elettorale.

Senza tanti giri di parole, la storia recente ci insegna che le mafie non hanno bisogno di un sistema basato su preferenze per infiltrarsi nella politica; è sufficiente qualche dirigente di partito mediocre (o corrotto, o solo compiacente) per permetterlo.

Servono e bastano un codice etico e capacità di autoregolamentazione (saper rifiutare i “portatori di voti” a valigette; quelli che poi chiedono qualcosa in cambio o ricattano di far sapere gli accordi) per avere una classe politica “pulita” a prescindere dal sistema elettorale.

Le preferenze non sono un problema; potrebbero servire, al contrario se inserite in un contesto di regolamentazione e controllo, per mettere sotto pressione i parlamentari ed incentivarli nell’azione politica.

Riguardo alle “liste bloccate” che tutti hanno turbato e scandalizzano, ma che nessuno vuole togliere (e che pare proprio ritroveremo), il problema consiste nel fatto che il sistema su esse basato (per di piú con premi di maggioranza) fa troppo comodo alle segreterie di partito. Senza dilungarci tanto sulla qualità dei candidati scelti (abbiamo avuto un’ampia dimostrazione in questi anni ed abbiamo speso al riguardo fin troppe parole, oltre a tempo), tale strumento permette, specialmente nelle reltà maggiori, di pre-confezionare equilibri di corrente, coalizione e parlamentari. Uno strumento che risulta quindi, semplicemente, troppo comodo ai maneggioni della politica.

Ragionando di “premio di maggioranza”, è ormai evidente che i “piccoli” non servono, anzi, si fa di tutto per estrometterli in barba al principio di rappresentatività dell’elettore. Che cerchino di far passare il messaggio che il premio consiste “solo” nel massimo il 18% è mostruoso; a parte il fatto che tale percentuale è enorme, ogni premio di maggioranza è una violenza verso il cittadino ed il suo diritto a vedere rappresentato il proprio voto.

Chi vi scrive è tra i nostalgici della “vecchia” politica, quando le basi dell’agire erano la capacità di mediare e quella di valorizzare temi condivisi; non la “governabilità” che dipende dalle capacità e non è presupposto della politica come invece ci raccontano da anni.

La facile obiezione a quanto qui sostenuto è che “quei tempi” vennero sepolti da scandali ed inchieste per corruzione; la contro-obiezione, altrettanto facile, è che i tempi moderni non sembrano poi essere meglio e così immuni da scandali…

Le “Riforme” nel loro complesso dovrebbero avere una visione complessiva; ci si dovrebbe aspettare tale prospettiva da partiti che si propongono di guidare il Paese. Certi passaggi e regole dovrebbero essere strutturali: non basta la discrezionalità (che un partito metta regole per scelta) perchè da essa tutti possono svicolare e scegliere di non applicare vincoli o fingere di farlo.

Un ultimo spunto: il continuo invocare la “governabilità” per far passare alcune riforme (premio di maggioranza, liste bloccate, soglie di sbarramento) che cosa altro non è se non la resa di fronte all’incapacità manifesta dei capi-partito (e quindi della inetta classe politica contemporanea) di creare equilibri, mediazioni e sintesi o accordi di programma indipendenti, appunto, da personalismi e lotte tra partiti od interne ad essi?

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