I deputati marocchini hanno votato lo scorso mercoledì in favore di un emendamento del codice penale affinché un violentatore non possa più evitare il carcere sposando la sua vittima.
Il 10 Marzo del 2012, il suicidio di una giovane donna, Amina Filali, costretta a sposare il suo violentatore, aveva profondamente scioccato l’opinione pubblica del Regno, e non solo. Grazie a quel matrimonio, e conformemente all’articolo 475 del codice penale, l’aggressore presunto era in effetti sfuggito al giudizio. Dopo il via libera del Governo islamista e un voto favorevole alla Camera dei Consiglieri lo scorso Marzo, è arrivato il turno dei deputati che mercoledì si sono pronunciati, in seduta plenaria, in favore dell’abrogazione dell’articolo denigrato. “Questo emendamento è stato approvato all’unanimità dei presenti”, hanno tenuto a precisare fonti parlamentari. “Oggi, Amina Filali può finalmente riposare in pace. Dal 2012, abbiamo dovuto aspettare ed è grazie alla lotta portata avanti dalle ONG e dalla mobilitazione di alcuni gruppi parlamentari che abbiamo potuto raggiungere questo obbiettivo”, ha dichiarato la deputata del Partito Autenticità e Modernità (PAM) Khadija Ruissi. “E’ un passo molto importante, che però non è sufficiente (…) Facciamo appello affinché si arrivi ad una revisione completa del codice penale per le donne”, ha puntualizzato Fatima Maghnaui, responsabile di una ONG che sostiene le vittime di violenze. In un comunicato, anche Amnesty International si è compiaciuta per questo risultato ottenuto dai deputati marocchini, salutando un “passo nella giusta direzione”. Ma l’ONG con base a Londra ha anch’essa fatto valere la necessità di una “strategia globale per proteggere le donne e le giovani dalle violenze”. Alla fine del 2012, la Ministra per la famiglia, Bassima Hakkaui, aveva sottolineato che in Marocco sei milioni di donne – su di una popolazione totale di 34 milioni di abitanti – erano vittime di violenze, di cui più della metà in ambito famigliare. Un progetto di legge che permetta di sanzionare severamente gli artefici di tali delitti è attualmente fonte di vivi dibattiti, e, messo al muro dalle critiche, il Governo si è visto costretto a riesaminare la bozza. Mercoledì scorso, l’ONG Avaaz ha affermato aver fatto recapitare al Parlamento una petizione di più di un milione di firme che esorta le autorità a chiudere al più presto questo dossier.
Dieci anni dopo l’adozione del codice di famiglia (mudawana), i difensori dei Diritti delle Donne in Marocco possono contare sulla nuova Costituzione del 2011, redatta in piena Primavera Araba, che consacra “l’eguaglianza dei Diritti” ed esorta lo Stato ad operare a favore della parità. Tra le lotte portate avanti figura la proibizione del matrimonio dei minori, permesso in Marocco dal Codice di famiglia in virtù della deroga dei giudici. Secondo i dati ufficiali e quelli delle ONG da 30mila nel 2008, il numero di casi esaminati è passato a più di 35mila nel 2010 e si avvicina ai 40mila. “Bisogna mettere fine alle deroghe. Così si spingono le ragazze ad interrompere gli studi portandole ad un conseguente stato di precarietà”, si è rammaricata Khadija Ruissi. Un piccolo grande passo è stato fatto, si è spazzata la catena di una cultura che oggi non ha più ragione di essere. Tradizione e modernità possono convivere, in nome della crescita sociale.
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