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Postumi elettorali. La Tailandia si sveglia più lacerata che mai all’indomani di un voto che doveva invece lenire le sue ferite.

L’opposizione è riuscita a neutralizzare l’elezione voluta dal Primo Ministro Yingluck Shinawatra, gelando le sue speranze di uscire dall’impasse che sta facendo nuovamente affondare il Paese che aveva trovato una certa stabilità dopo il colpo di stato del 2006 e l’elezione dell’attuale Primo Ministro nel 2011. Diversi “contrattempi”, orchestrati dai manifestanti, hanno impedito che lo scrutinio si svolgesse in modo corretto in più di 10% dei seggi, vietando la proclamazione dei risultati. Nove Provincie del Sud, monarchiche, non si sono neanche organizzate per rendere possibile questa tornata elettorale. In totale, 8,7 milioni di tailandesi sono stati vittima della chiusura dei seggi. In particolare a Bangkok, cuore del Movimento anti Thaksin  (fratello dell’attuale Primo Ministro, deposto nel 2006 dopo essere stato accusato di corruzione e abuso di potere) dove i manifestanti hanno circondato alcuni seggi, intimidendo i rari elettori, o sequestrando le schede elettorali per impedirne la distribuzione. Anche se il Paese è sfuggito ad una nuova fiammata di violenze e che le lezioni si sono svolte senza scontri nel Nord, questi atti di disturbo di massa vietano a Yingluck cantare vittoria. L’opposizione contesta la validità dello scrutinio e conta ottenerne l’annullamento per via giudiziaria. Ha già denunciato la manifesta volontà del potere di voler far rivotare il prossimo 23 Febbraio le circoscrizioni coinvolte dai disordini. “Continuare questa arsa non è altro che il tentativo di prolungare la durata del Governo al potere”, dichiara Ong art Kampaiboon, uno dei Leader del Partito Democratico, la principale formazione di opposizione che ha boicottato le urne. Un nuovo braccio di ferro giuridico che minaccia di far cadere la Tailandia in una crisi politica che può durare mesi. Questo perché, senza aver eletto il 95% dei deputati, è impossibile riunire il Parlamento, e quindi nominare un nuovo Governo. Il tasso di partecipazione, che ha toccato i minimi storici, è un altro colpo basso per il clan Shinawatra. Come previsto, a Bangkok dove gli abitanti sono votati in massa alla causa anti Thaksin, è sceso al 20,89%. Ma le cifre che arrivano dal resto del Paese, intorno al 50% contro il 70% abituale, mostrano la crescente diffidenza nei confronti della sorella di Thaksin Shinawatra. Se il suo Partito Pheu Thai rimane al primo posto a Chang Mai o nell’Issan, le sue tradizionali roccaforti, la debole mobilizzazione indica le disillusione delle sue truppe “rosse” (comunisti, ma anche semplici contadini che speravano in un miglioramento della loro condizione). Molti non hanno voluto spostarsi, convinti che alla fine questa elezione verrà invalidata. Altri puniscono in questo modo i passi falsi politici. Per prima cosa, il progetto di amnistia presentato a Novembre del quale dovevano beneficiare gli autori della repressione  anti “camicie rosse”, scatenata durante i violenti scontri del 2010 e dove persero la vita 90 persone. Un errore di calcolo che doveva permettere in cambio il ritorno del fratello maggiore Thaksin (da sempre definito deus ex machina delle decisioni di Yingluck), esiliato a Dubai. Un progetto di amnistia che ha invece dato fuoco alle polveri scatenando la rivolta di Bangkok. Secondo punto, la strategia economica, in particolare il controverso sistema di sostegno ai produttori di riso che si fossero convertiti alle fabbriche a gas. Lo Stato si è impegnato a ricomprare la produzione a prezzi competitivi, ma numerosi contadini affermano non essere mai stati pagati, mentre numerosi intermediari si sono serviti a piene mani. “Chiedono dove sia il denaro. Il populismo settoriale di Yingluck gli ha creato numerosi nemici”, spiega un professore dell’università Chulalongkorn. Messa sotto pressione, Yiungluck appare a corto di colpi in canna, visto che le elezioni sembra fossero la sua ultima carta da giocare. “Non posso più fare concessioni”, aveva spiegato in Dicembre, quando già la folla chiedeva le sue dimissioni. Il clan Thaksin cerca ora di mettersi in mostra come può. Il suo avversario Suthep Thaugsuban, sogna di dare la stoccata finale. Il Leader della strada di Bangkok ha promesso nuove manifestazioni oceaniche. La crisi maratona tai non sembra avere una soluzione a breve. Gli scontri tra “camicie arancioni” (filo militari, elitarie e monarchiche) e “camicie rosse”  sono un incubo che si teme diventi ricorrente.

Gli Stati Uniti, alleati militari della Tailandia da decenni e fornitori di aiuti alle sue forze armate, hanno per la prima volta messo in guardia i leader politici contro un eventuale colpo di Stato militare nel Regno. All’indomani delle elezioni boicottate dal principale gruppo di opposizione, Jennifer Psaki, portavoce del Dipartimento di Stato ha puntualizzato che gli Stati Uniti “non prendevano parte” a questa crisi che si teme possa essere resa in mano dalle influenti forze armate tailandesi nel tentativo di risolvere il conflitto politico. Ma queste elezioni “incompiute” aprono inesorabilmente un altro capitolo di incertezza politica, con il suo lotto di scenari catastrofici che, secondo gli esperti,  vanno dal colpo militare allo smantellamento giuridico del Paese. La Tailandia, Monarchia Costituzionale dal 1932, ha vissuto da quella data, 18 tra tentativi e colpi di Stato riusciti.

 © Rivoluzione Liberale

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