Il primo Consiglio europeo del premier Renzi assomiglia ad una partita da ping pong. Renzi è andato a Bruxelles per dimostrare la buona riuscita delle sue riforme e, soprattutto, con l’intenzione di non farsi dare troppi ‘compiti da fare a casa’.
“Il rispetto degli impegni presi in Europa è fondamentale per la fiducia nell’Italia e nell’Ue”, ha rimembrato a Renzi il presidente Barroso, con il quale la partita di ping pong si è giocata a colpi di vincoli.
Renzi è convinto che le sue “grandi riforme” sono compatibili con il “Fiscal Compact” della Merkel; è convinto che la decimazione applicata ai bilanci pubblici (l’Italia è tra i leader degli “squilibri macroeconomici eccessivi”) non procurerà ulteriori sacrifici al nostro Paese. Per quanto riguarda il vincolo del 3%, invece, “rispetteremo il vincolo deficit/Pil”, sottolinea Renzi, anche se “è anacronistico”.
“Andiamo in Europa consapevoli che abbiamo mille limiti e mille difficoltà – aveva annunciato il premier alla Camera prima della partenza per Bruxelles – ma che se l’Italia si dà da fare può ambire alla guida dell’Ue per i prossimi 20 anni e non per sei mesi”. Un progetto ambizioso che però deve necessariamente scontrarsi con i sorrisini di alcuni leader Ue sempre pronti ad ironizzare sul Belpaese. Non così Martin Schulz che vuole credere ancora una volta nel progetto italiano e afferma di ‘lottare’ con Renzi. “Spero ce la faccia con le riforme”, dichiara il presidente del Parlamento europeo. In sostanza “l’Ue ha bisogno di un’Italia forte e l’Italia ha bisogno di un’Ue solidale, che vuol dire sostenere il Paese a uscire dalla crisi”.
Al di là delle belle parole la tensione sull’austerity è comunque molto forte e Matteo Renzi si innervosisce di fronte alle domande a proposito di coperture economiche rimandando tutti al Def, il “Documento di economia e finanza” che sarà presentato nei prossimi giorni.
“Le coperture sono fuori discussione e fuori dubbio”, ribadisce il primo ministro sicuro che non ci sia “alcuna difficoltà”. L’Italia e l’Europa non sono controparti e si viaggia tutti sulla stessa barca. “O siamo in grado di tenere insieme due battaglie di risanamento e crescita, – ammonisce Renzi – o non c’è spazio per la politica, resta una visione tecnocratica”.
Le spine nel fianco non sono poche. Oltre al famigerato 3% nel rapporto debito/Pil ci sono i parametri di Maastricht per i quali il debito pubblico non può superare il 60% del Pil, e in caso contrario vanno previste delle misure di rientro; il Patto di stabilità (1997) che prevede sanzioni per chi sfora i limiti; l’obbligo di rientrare nei parametri del Fiscal Compact approvato nel 2012, il quale prevede che dal 2015 l’Italia riduca di un ventesimo (5%) ogni anno la parte di debito oltre il 60% del Pil (in questo momento il debito è ancora oltre il 130% del Pil). Infine il Fiscal Compact, oltre a prevedere l’obbligo di perseguire il pareggio di bilancio ammette un limite al deficit “strutturale” che corrisponde allo 0.5% del Pil.
Renzi dichiara comunque di non aver discusso con Barroso “dello 0.2% ma di grandi riforme” e sottolinea: “Non abbiamo fatto un dibattito sullo ‘zero virgola’, stiamo rivoluzionando e cambiando l’Italia”.
Il gerundio renziano, indicatore di velocità e di progressismo, non è però sufficiente per assicurare la buona riuscita della rivoluzione liberale che tanto attecchisce sia a Destra che a Sinistra. In ballo ci sono, ancora una volta, valori incompiuti come la giustizia e l’equità che saranno soddisfatti solo dopo aver risolto il dramma della disoccupazione e aver arginato, ampiamente, le sofferenze di un precariato sempre più dilagante. La riforma del mercato del lavoro, inoltre, non è esclusivamente una questione di regole, bensì comporta la strutturazione di un sistema economico all’altezza della situazione che il periodo storico propone. Gli 80 euro nella busta paga del ‘ceto medio’ non risolvono il problema e, seppur debilitate, le sacche del famigerato ‘ceto medio’ (un possibile bersaglio elettorale) rappresentano una fetta della crisi e non la crisi per intera.
È auspicabile quindi che ‘la politica torni a fare il proprio mestiere’ interessandosi di tutti i cittadini e garantendo a tutti pari dignità. La sfida europea comprende anche questo, ossia la realizzazione di un equo sistema di giustizia distributiva che tenga conto delle disuguaglianze immeritate e incoraggi le opportunità dei meno avvantaggiati. Si tratta di una scommessa storica che peserà sul futuro delle future generazioni e sull’idea di Europa che sarà prodotta da qui in avanti. Come ci insegna Karl Popper, la storia assume il senso che gli uomini le danno e, soprattutto, non esiste alcun senso della storia che sia precostituito rispetto alle decisioni e alle interpretazioni umane. In quest’ottica il progresso verso la realizzazione di una società più umana, più equa, più giusta ed infine più civile rappresenta il fine ultimo al quale gli uomini politici dovrebbero tendere, animati dal fondamentale e irreversibile dovere della responsabilità.
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