Un esecutivo in affanno che tenta di tutto per realizzare le riforme decisive e radicali sulle quali Renzi punta mirando ad una buona riuscita nelle Elezioni europee di maggio, oltreché per attrarre investimenti esteri in grado di risollevare l’Italia.
L’impresa non è delle più semplici e la lettera inviata alla Ue per chiedere un tempo più lungo (2016) per il pareggio di bilancio è la controprova della estrema difficoltà nel far tornare i conti. Trovare le coperture non è poi cosi facile e la manovra per portare 80 euro in più nella busta paga di 10 milioni di italiani – una manovra da 6,7 miliardi di euro che porterebbe nelle casse del leader Pd diversi voti – fatica a diventare realtà.
Sul Def il Governo chiede di avere fiducia. Le coperture arriveranno dai tagli alla Sanità e alla Difesa (tra cui i contesi F35); dalla tassazione (26%) delle rendite finanziarie; dai tagli alla “casta” ed anche dal taglio degli stipendi dei manager pubblici. Il “placet” europeo non è però del tutto scontato, anche se per ora lo spread si mantiene su livelli piuttosto bassi viaggiando stabilmente attorno ai 160 punti.
Il Documento di Economia e Finanza suscita polemiche non solo tra i banchi dell’opposizione, dove i berlusconiani sono pronti ad accusare il premier di “truccare le carte” – nel senso dei conti pubblici – ma anche all’interno del Pd dove la minoranza continua ad approvare i provvedimenti del Governo Renzi con riserva condita magari con una buona dose di scetticismo.
Le polemiche non mancano di sottolineare la non irrilevante dose di strumentalità che sta alla base dei vari provvedimenti, in primo luogo in funzione delle Elezioni europee; ma il premier bolla i critici e gli scettici definendoli “amici gufi” e si affida ancora una volta a Twitter dove l’hashtag preferito continua ad essere “#lavoltabuona”.
Lo scontro sulla lettera inviata dal ministro Padoan alla Commissione europea per informarla della decisione del Governo italiano di rinviare di un anno il pareggio di bilancio rischia di trasformarsi in uno scontro frontale del quale Palazzo Chigi non può sottovalutare le conseguenze nefaste.
In definitiva il Governo conta di ricavare circa 4,2 miliardi di euro con la spending review e le misure saranno strutturali ossia non esauriranno i loro effetti nel 2014, bensì si estenderanno diventando in futuro sempre più marcate. La sensazione è che tutti i tagli apportati non saranno sufficienti a definire un quadro stabile di risanamento per risollevare il Paese. In bilico il miliardo che dovrebbe arrivare dalle banche, il cui prelievo non dovrebbe arrivare dal raddoppio dal 12% al 24% della tassazione sulla rivalutazione delle quote di Banca d’Italia – sulla cui manovra si riversano dubbi di costituzionalità – ma dal pagamento del tributo con l’aliquota del 12% in una sola soluzione anziché in tre rate. In bilico anche il miliardo e mezzo di Iva che dovrebbe arrivare con il pagamento degli arretrati della Pubblica amministrazione, si tratta di risorse che arriveranno ma che per ora non possono essere indicate come coperture perché frutto di un provvedimento non ancora adottato. Ed infine per attingere le risorse che mancano potrebbero essere reintrodotte altre micro misure fiscali, come il pagamento dell’Imu e la revisione delle accise.
L’operazione è complicata, le tessere del mosaico sono infinite e di non facile composizione. Il Governo continuerà a fare i propri conti e il premier continuerà ad ostentare il suo ottimismo contro gli “amicigufi” ma il finale è ancora incerto. La legge elettorale è ancora un miraggio e le riforme istituzionali anche. Forse i primi risultati saranno raggiunti prima del 25 maggio ma l’alba di un nuovo futuro è ancora lontana.
In un Paese, l’Italia, in cui la civilizzazione del confronto politico continua ad essere un percorso difficile e faticoso si auspica che le riforme di cui il Paese ha estremo bisogno non siano il frutto di infausti calcoli personali o di partito – valutate in pratica con il metro della convenienza di parte – bensì siano messe al servizio dell’interesse generale garantendo agli individui opportuni margini di libertà degni di una democrazia liberale.
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