Lavorare insieme per cambiare l’Italia. È questo il motto dell’attuale maggioranza di Governo che dopo aver varato il Def ha incassato – nonostante le perplessità di Napolitano sulle coperture – il decreto Irpef, la manovra che assicurerebbe il bonus di 80 euro ai lavoratori dipendenti che guadagnano tra gli 8 mila e i 24 mila euro lordi l’anno.
Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan sostiene che il bonus di 80 euro “avrà ripercussioni positive sul prodotto interno lordo” che nel 2014 potrebbe superare l’incremento atteso dello 0,8% fissato dal Documento di economia e finanza. La manovra relativa al bonus suddetto costa complessivamente 6 miliardi e 655 milioni di euro, mentre il calo dell’Irap per le imprese vale 700 milioni quest’anno e 3,1 miliardi nel 2015.
Le risorse da reperire sono ingenti e in ballo c’è anche il tetto degli stipendi d’oro fissato a 240 mila euro lordi l’anno anche per i magistrati. Il Governo Renzi assicura che il bonus di 80 euro sarà strutturale e quindi reso stabile nei prossimi anni quando, secondo il premier, prenderà la forma di un taglio ai contributi sociali. I risparmi attesi dai ministeri sono quantificati in 240 milioni e sono confermati “almeno 400 milioni” a carico della Difesa. Il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, sottolinea che nel suo rapporto indicava in 2,5 miliardi l’anno i risparmi possibili nel settore Difesa come obiettivo nel 2016; allineare la spesa italiana al livello degli altri Paesi europei significherebbe, per di più, far salire i risparmi a 3,5 miliardi di euro ma su come raggiungere questo risultato Cottarelli non detta alcuna ricetta e afferma che le “scelte toccano alla politica”. A proposito di risparmi nel settore degli armamenti nelle prossime settimane è atteso il voto del documento che propone il dimezzamento degli F35, procedendo quindi ad una revisione seria del programma per il quale l’Italia si è impegnata con gli Usa.
A proposito di decreto Lavoro Ncd e Sc hanno proposto alcune modifiche: l’eliminazione dell’obbligo dell’apprendistato pubblico; la cancellazione del vincolo di assunzione nel caso fosse oltrepassato il tetto dei contratti a tempo determinato (20 per cento); il ritorno a un numero di 8 proroghe per i contratti a tempo determinato (in Commissione Lavoro sono stati portati a 5). Andrea Romano di Sc è convinto che sarà portato avanti un “riformismo pragmatico e non ideologico”, mentre per il ministro Lupi di Ncd “occorre lavorare insieme per evitare al Paese di finire nel baratro”. Lupi sottolinea che il Governo Renzi sta rimettendo al centro alcuni valori molti cari a Destra: “più imprese, meno burocrazia, più tagli alla spesa pubblica” ma ribadisce che “non basta far ripartire i consumi se non si abbassa la pressione fiscale facendo riprendere fiato alle famiglie, alle partite Iva, alle piccole e medie imprese”.
L’altro fondamentale nodo da sciogliere è quello delle riforme istituzionali, a partire dalla riforma del Senato che è forse la riforma più osteggiata. Sulla ristrutturazione di Palazzo Madama proposta dalla squadra Renzi non sono d’accordo sia la minoranza Pd sia un vasto fronte delle opposizioni, tantoché non è esclusa la formazione di un fronte trasversale in favore di un Senato elettivo che potrebbe saldare Forza Italia, sinistra del Pd, Ncd, Sel e M5S. Per la prima volta i grillini partecipano al gioco politico delle alleanze: “Voteremo il testo Chiti” conferma il capogruppo Luigi Di Maio. Uno scenario traballante che Palazzo Chigi tende a scongiurare ribadendo che “il Senato non elettivo è uno dei punti cardine dell’accordo con Forza Italia”.
La partita è ancora tutta da giocare, con Berlusconi stretto nella morsa tra servizi sociali e campagna elettorale e Matteo Renzi che deve necessariamente fronteggiare i falchi ‘minoritari’ all’interno del Pd pronti a sbarrare i suoi tentativi di riforme per far sì che l’Italia cambi verso.
Nel contempo l’ex Cavaliere, Silvio Berlusconi, inizia la sua campagna elettorale partendo da Porta a porta, dove torna a ruggire affermando che “la modifica del Senato, così com’è, non è votabile” e sulla legge elettorale, “spiaggiata al Senato”, innalza eventuali dubbi di incostituzionalità. In questo modo molto probabilmente prima del 25 maggio, data delle Europee, dell’Italicum non se ne farà niente e la riforma elettorale continuerà ad essere la spina nel fianco di un’Italia ridotta in brandelli da una politica leaderistica condannata ad un clima da campagna elettorale permanente.
Il tavolo delle riforme non è ancora saltato ma il patto Renzi- Berlusconi vacilla e il futuro dell’accordo con FI non potrà prescindere dall’esito delle Elezioni Europee. Renzi deve sperare non solo in suo relativo successo ma anche in una discreta tenuta di Forza Italia perché se i grillini scavalcheranno gli azzurri i patti necessariamente cambieranno e, in balia degli eventi, dovranno essere ridefiniti gli attori.
La luna di miele di Matteo Renzi è finita con la riesumazione del leader di Forza Italia che, nella sua apparizione a Porta a porta, lo ha definito “un simpatico tassatore” rimettendo in discussione il patto del Nazareno che, in un modo o nell’altro, gli ha dato la possibilità di rimanere in gioco arrivando, nonostante tutto, a disputare la partita per le Elezioni Europee.
