La settimana finanziaria appena trascorsa ha mostrato una volatilità dei mercati che non si vedeva da qualche tempo. A mettere sotto pressione borse e valute potrebbe essere stata una notizia di oltreoceano a cui non è stata la giusta rilevanza. Nel giorno di mercoledì 15.10 alle 14,30 è uscito un dato molto importante, riguardante l’andamento dei prezzi alla produzione statunitensi, rivisti in calo dello 0,1% contro le attese, che erano per un dato positivo della stessa cifra, quindi +0,1%. Gli operatori hanno interpretato questo calo come un potenziale pericolo deflattivo che si addensa sull’economia più forte del mondo, oltre che su tutti gli altri principali Paesi. Si nota infatti come anche nel Regno Unito l’indice dei prezzi al consumo, pubblicato lo scorso Martedì, sia stato sotto le attese(1,2% contro previsioni di 1,4%), e come anche il dato cinese, uscito il giorno seguente, sia stato dell’1,6% contro l’1,7% previsto. La conseguenza di questo pericolo incombente, ossia di una deflazione generalizzata nel mondo, ha generato effetti drammatici sulle materie prime come il petrolio, crollato a poco meno di 90$ al barile, e sui principali listini mondiali, soprattutto europei (appesantiti questi dal declassamento del debito greco da parte di Fitch e da una conseguente repentina impennata degli spread), ma soprattutto ha generato un indebolimento del dollaro americano su tutte le principali altre valute, in particolare sull’euro, portandolo a ridosso della soglia di 1,29. Perché questo indebolimento? Perché si comincia a pensare che il famoso quantitative easing, ossia l’acquisto di debito americano da parte della FED, abbia sì portato incremento della produzione, ma non abbia rivitalizzato i consumi, non generando inflazione, allontanando di conseguenza la possibilità di un aumento dei tassi.
Lo stallo della BCE, immobile e pensierosa sul da farsi, ha fatto il resto.
Nelle giornate di giovedì e venerdì i i dati inglesi ed americani hanno un po’ disteso gli animi, avendo rivisto le stime sulla produzione tutte al rialzo, e quelle sulle richieste di sussidi di disoccupazione al ribasso.
Sostanzialmente i mercati finanziari sentono il pericolo di una trappola della liquidità a livello mondiale dal quale uscire sarebbe piuttosto complicato. Per questo motivo, d’ora in avanti gli occhi saranno puntati molto più sui consumi e sull’inflazione, che non sulla mera produzione, che negli Sates ormai non è più il problema.
Staremo a vedere.
