“Se la nostra politica non si dimostrasse abbastanza efficace per raggiungere questo obiettivo (riportare l’inflazione al 2%, ndr), o si materializzassero ulteriori rischi per le prospettive di inflazione intensificheremo la pressione e amplieremo ancora di più i canali attraverso i quali intervenire, modificando di conseguenza le dimensioni, il ritmo e la composizione dei nostri acquisti“. Con queste parole, pronunciate all’European Banking Congress venerdì mattina, il Presidente della BCE, Mario Draghi, ha scosso un po’ i mercati finanziari, che avevano sonnecchiato per tutto il corso della settimana, nonostante i dati provenienti da ogni parte del mondo non facessero pensare a nulla di buono per il prossimo futuro. Segno questo di una attesa positiva da parte degli operatori finanziari, che scommettono ancora sulla possibilità che l’allentamento quantitativo promesso dal Governatore venga prima o poi tramutato in realtà.
Il mondo della finanza ha tutti gli occhi puntati sul Draghi, e tutte le notizie o i dati provenienti dalle economie vengono letti per quanto possano influire sulle Sue decisioni e su quanto velocizzeranno le tempistiche dell’intervento. Il richiamo, fatto nella stessa sede di Francoforte, al successo delle varie operazioni di QE fatte dalla BOJ e dalla FED, hanno fatto da ulteriore propulsore alle borse europee, che hanno messo il turbo nella giornata di venerdì.
Tale euforia nel fine settimana era stata preceduta da una magra quantità di dati, la terza settimana del mese ne è in genere povera, quasi tutti negativi per le economie mondiali. Si segnala in particolare la battuta di arresto della Cina, che nella notte tra mercoledi e giovedi ha pubblicato un indice manifatturiero in flessione, segnale negativo che ha portato la banca centrale cinese, nella giornata di venerdi, a decidere di tagliare i tassi dello 0,25% portandolo al 2,75%, misura unita alla riduzione dei tassi sui prestiti al 5,6% dal 6 precedente. L’obiettivo dell’istituto di Pechino è quello di rivitalizzare l’economia, che va incontro alla crescita più bassa degli ultimi 20 anni.
Nella giornata di martedi, la Germania ha fatto segnare un certo ottimismo, pubblicando il famoso indice ZEW, che rappresenta il termometro della fiducia nell’economia, al di sopra di ogni attesa, dato preceduto dall’indice dell’inflazione inglese, positivo e sopra le attese(beati loro). L’indice dei prezzi alla produzione ha fatto segnare il segno più anche oltreoceano, dove si ravvisa una, seppur lenta, certa ripresa, che comincia a prendere vigore nonostante gli stimoli monetari siano stati sospesi. Segno questo di una situazione veramente brillante, confermata dal fatto che la pubblicazione delle minute della FED di mercoledì sera hanno confermato la continuità della politica monetaria, che rimane neutrale al ciclo economico, quindi né accomodante né restrittiva.
Sempre i tedeschi, nella giornata di giovedì hanno diramato il dato sulla produttività, stavolta negativo e sotto le attese, e questo ha dato il la alle insinuazioni di un intervento della BCE molto imminente e non più ostacolato dalla Cancelliera.
Si sa però che la finanza ha un ragionamento tutto suo, che non necessariamente segue gli andamenti economici, quindi al sentire le parole di Draghi, che lasciano spazio ad una immissione di liquidità vista la congiuntura negativa, festeggiano e volano, mentre mal sopportano una manciata di dati positivi, che sarebbero da ostacolo all’imminente QE in salsa europea, che indebolirebbe ulteriormente l’euro e potrebbe far ripartire l’economia anemica del vecchio continente.
Che liquidità sia!
