Il sempre puntuale ed accorato appello di Giorgio Napolitano ha sottolineato opportunamente come la belva feroce dell’antipolitica si nutre di populismo e di giustizialismo.
Alzare i toni dello scandalismo, chiedere punizioni esemplari, invocare norme speciali, sono semplicemente le antiche scorciatoie di una politica furbastra che, anziché affrontare il vero problema, si preoccupa di offrire un pasto di giustizialismo populista alla folla esasperata. Il Governo Renzi non si è sottratto, di fronte allo scandalo di Roma mafia, alla tentazione di rispondere con un Disegno di Legge che aumenta le pene edittali, ma che si è rivelato incoerente, perché scritto affrettatamente e senza tenere conto che ogni modifica della legislazione penale, impone una necessaria armonizzazione nell’ambito del sistema. Per fortuna non si tratta di un Decreto legge, che sarebbe entrato immediatamente in vigore, ammesso che il Capo dello Stato fosse stato disponibile a firmarlo, ma di un Disegno di legge, che il Parlamento potrà integrare, modificare, quanto meno renderlo semplicemente sensato e coerente. Al giovane propalatore di messaggi propagandistici non interessava la sostanza, ma l’effetto emotivo immediato, che, con l’aiuto dei media servili, ha ottenuto.
La via maestra per affrontare il gravissimo problema, che riguarda non solo le degenerazioni della cupola mafiosa romana di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, ma, nel suo complesso, l’intera spesa pubblica italiana, è soltanto quella di cancellarla, non di aggravare le pene per la corruzione. Chi sceglie la strada del malaffare per arricchirsi, non si lascia dissuadere dal rischio di una condanna più rigorosa per il reato che sta compiendo, in quanto agisce nella convinzione dell’impunità.
Bisogna soltanto ridurre sostanziosamente la macroscopica spesa pubblica, che supera gli ottocento miliardi. Solo togliendo le occasioni, si può evitare il dilagare della corruzione ed evitare malversazioni e sprechi. La strada è quindi quella di disporre la immediata chiusura delle ottomila aziende municipalizzate, vendendo quelle attive ai privati e liquidando quelle in perdita o con attività inesistenti, che servono solo a pagare gli emolumenti ai rispettivi consigli di amministrazione. Altrettanto deve essere fatto per gli Enti e le Aziende dello Stato e delle Regioni, ripristinando le condizioni per una reale economia di mercato non distorta dalla sleale concorrenza delle società pubbliche. Una scelta di non interferenza dello Stato nell’economia, eliminerebbe la proliferazione di passaggi burocratici, che rappresentano altrettanti rischi di corruzione e, comunque, di inutili ritardi delle relative attività. Ovviamente un grande processo di privatizzazione di compiti, che impropriamente oggi sono svolti dal pubblico, dovrebbe comportare la eliminazione degli anacronistici vantaggi fiscali per le imprese organizzate in forma cooperativa, per evitare di perpetuare forme di illecita concorrenza e recidere perversi legami tra queste e settori della politica, che ne ricevono cospicui finanziamenti. Disboscare tutta la materia e renderla meno scivolosa ed oscura, metterebbe in questo campo automaticamente fuori gioco la delinquenza organizzata, che non avrebbe più, come oggi, la funzione di assicurare il collegamento con la piccola politica, attraverso il voto di scambio e di esercitare, con la minaccia, una grande forza di persuasione nei confronti delle aziende riottose.
Siamo consapevoli che scegliere tale strada significherebbe inimicarsi settori molto più pericolosi ed agguerriti dei sindacati, che nei giorni scorsi hanno manifestato in cinquantaquattro città italiane e paralizzato il Paese. Qui si tratta di interessi più immediati e forse anche più corposi. Ma è solo così che si cambia l’Italia con i fatti e non con un semplice ritornello, ripetuto fino alla nausea dal Presidente del Consiglio, dai suoi Ministri e dai rappresentanti del PD. Ai roboanti proclami, corrisponde solo qualche modesto provvedimento urgente, spesso sbagliato o insufficiente, mentre si punta concretamente a realizzare una riforma costituzionale ed elettorale liberticida, che servirebbe soltanto a perpetuare e rafforzare il potere dell’attuale coalizione Renzusconista.
Il fallimento della Seconda Repubblica ha lasciato un deserto culturale e politico, dando luogo ad una inarrestabile ondata di rabbia antipolitica, che tuttavia ha mostrato il suo limite nel rapido declino del M5S. Tra le macerie della crisi economica, che ha prodotto fallimenti e disoccupazione, hanno dilagato soltanto corruzione e malaffare. In un simile contesto, in cui s’invoca l’uomo solo al comando, ha finito col prevalere il cinismo di un piccolo personaggio spregiudicato ed ambizioso, che, in nome di una presunta riforma istituzionale ed elettorale, presentata come modernizzatrice, rischia di farci precipitare nell’autoritarismo dispotico, che abbiamo già sperimentato in un non troppo lontano passato.
Anche in un contesto in cui tutto appare orientato verso un’altra direzione, il Paese ha bisogno di veder rinascere un presidio autenticamente liberale. Un sogno, una grande utopia, un rinnovato amore per la libertà, potrebbero rappresentare la forza irresistibile in grado di scongiurare il dilagante populismo giustizialista e liberticida.
