mercato europeo

Gli armonizzatori sostengono che per proteggere il mercato interno  europeo sia necessaria una direttiva per armonizzare le regole fiscali al fine di impedire la concorrenza fiscale sleale tra i 28 Paesi Ue e che occorra agire anche a livello mondiale cercando accordi tra gli Stati, con scambio di informazioni atte ad eliminare quella concorrenza fiscale dannosa e le distorsioni che colpiscono, in particolare, tutti gli Stati mondiali più evoluti.

Considerando che la tassazione è una violazione della proprietà privata, ridurre la concorrenza (o addirittura eliminarla) tra Stati significa peggiorare la situazione. Parlare di concorrenza fiscale “dannosa” o “sleale” equivale a prendere le parti dei consumatori di tasse a scapito dei pagatori di tasse, perché i danni di questa concorrenza “sleale” sarebbero per l’erario, non per i cosiddetti contribuenti.

Auspicare, poi, che l’armonizzazione vada estesa idealmente a livello globale, significa togliere ai legittimi proprietari, delle risorse estorte dal fisco, ogni possibile difesa (già peraltro parecchio indebolita nel contesto attuale). 

Qualcuno potrebbe obiettare che una definizione comune delle tecnicalità dei singoli tributi (per esempio la determinazione della base imponibile) semplificherebbe la vita a chi paga le tasse. Ciò può essere vero, ma l’obiettivo reale degli armonizzatori non è quello di semplificare la vita a chi paga le tasse, bensì evitare che possa avere convenienza a pagare le tasse a uno Stato invece che a un altro. 

Se questo deve diventare il “sentire comune che deve entrare a far parte del patrimonio culturale complessivo dei cittadini europei”, c’è poco da stare allegri. Si rischia veramente di arrivare in tempi brevi a una situazione peggiore di quella descritta da Orwell in 1984.

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