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Con le numerose conversioni di molti parlamentari colpiti da un’attrazione fatale verso il potere, si torna a parlare – nell’accezione positiva – di responsabili, stabilizzatori, soccorritori – nell’accezione negativa – di transfughi, voltagabbana, traditori, opportunisti. In genere ha prevalso la forma più perfida,  quando la corsa è stata verso l’area del centro destra, mentre l’odierna conversione verso il renzismo, trova un’accoglienza molto più indulgente da parte dei media. Il fenomeno, antico nel nostro Paese, ha avuto un’esplosione nell’ultimo ventennio, fino ad arrivare nelle ultime due legislature a quasi duecento cambi di casacca da una parte all’altra dello schieramento, quindi con il disconoscimento assoluto, ove mai ve ne fossero stati, dei valori posti alla base delle scelte fondanti di schieramento degli interessati. 

Storicamente per la prima volta l’accusa venne mossa nel 1883 ad Agostino De Pretis, con l’espressione trasformismo, perché cercò il sostegno dell’area centrale del Parlamento, utilizzando in parte i voti della componente moderata, collegata alla Destra storica ed in parte di quella più radicale e progressista. Si trattava tuttavia, in un’epoca in cui non esistevano i partiti ed i deputati venivano eletti in base a collegi uninominali, sempre di soggetti connotati da diverse declinazioni della comune formazione liberale. la pratica venne proseguita dal grande Giovanni Giolitti, che incautamente fu persino apostrofato come “ministro della malavita”. Probabilmente la preoccupazione di sottrarsi a simili accuse, indusse nel 1922 socialisti e popolari a rifiutarsi di appoggiare un Governo a prevalenza liberale, presieduto dallo stesso Giolitti, ormai molto anziano, facendo così precipitare l’Italia, anche grazie alla complice vigliaccheria del piccolo Re Vittorio Emanuele, nella tragedia del Fascismo.

Nel dopoguerra, la ritrovata democrazia registrò molte scissioni, ma raramente abbandoni individuali, sanzionati severamente dall’opinione pubblica come fenomeni di scarsa moralità. Sovente, gravi conflitti all’interno dei partiti, produssero scissioni. Famosa quella socialista di Palazzo Barberini, che diede vita al Partito socialista democratico di Saragat. Molte divisioni avvennero nei partiti monarchici sorti nel primo decennio repubblicano, che videro protagonisti Covelli e Lauro. Nel 1957 la sinistra liberale di Villabruna e Carandini abbandonò il PLI e diede vita al Partito Radicale. Successivamente una ventina di parlamentari abbandonarono l’MSI per costituire Democrazia Nazionale, la quale, alla successiva prova elettorale, si rivelò un disastro. Negli anni del centro sinistra, la cosiddetta componente carrista del PSI, guidata da Vecchietti, costituì il PSIUP. Durante il lento, ma progressivo cammino del PCI verso l’eurocomunismo, vi furono diverse scissioni, anche in seguito alla espulsione di alcuni personaggi di spicco, che avevano osato ribellarsi alla pratica del cosiddetto “centralismo democratico”. Tra esse, quella che diede luogo al Manifesto, l’altra da cui sorse il PDUP, per non parlare della emorragia da quel partito di frange che andarono a rafforzare la lotta armata nella clandestinità. Infine, dopo la decisione di Occhetto di cambiare nome al Partito e, anche se parzialmente ed acriticamente, di correggerne la linea, Cossutta, Garavini e Bertinotti diedero vita a Rifondazione Comunista. Fino ad allora tuttavia le pur numerose scissioni avvennero sempre per ragioni di linea politica, senza mai rinnegare la coerenza con l’impostazione ideale di fondo, anzi ciascuno rivendicando di esserne l’interprete più corretto. 

Lo stravolgimento di tale connotato fondamentale ha coinciso con l’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica e con l’asserita necessità di liberarsi dalle ideologie, definite storicamente superate dalla egemonica cultura della sinistra ex comunista, dopo il crollo del muro di Berlino. I partiti andarono così perdendo il loro contenuto politico culturale, trasformandosi in comitati elettorali al servizio di un leader dalla forte personalità, secondo il modello lanciato nel 1994 da Berlusconi, al quale tutti presto cercarono di adeguarsi. Pertanto le stesse definizioni connesse alla geografia parlamentare di destra e sinistra, andarono perdendo significato, a favore di un pragmatismo assoluto, che ha sbiadito tutte le  differenze, sovente fino a cancellarle. Tutto questo ha legittimato le migrazioni di massa da un partito all’altro, da uno schieramento all’altro, senza suscitare lo scandalo, che in passato avrebbe travolto chiunque si fosse reso protagonista di simili comportamenti trasformistici. 

Si è arrivati al punto che una maggioranza che si definisce di sinistra sta cercando di approvare una riforma costituzionale, che nella sostanza è del tutto simile a quella votata in Parlamento dalla destra pochi anni or sono e bocciata da un referendum popolare, che aveva visto in prima linea quale oppositore il principale partito della sinistra.  Il PD oggi, non solo  ripropone quel medesimo impianto, con le stesse conseguenze distruttive per la democrazia italiana e gli stessi rischi per la sovranità e la libertà dei cittadini, ma ha preteso ed ottenuto il sostegno della destra, che ne rivendicava giustamente la paternità, ma che, oggi, per colmo di coerenza, sembra aver cambiato idea. 

Non può quindi meravigliare il sostegno alla maggioranza di governo, che si sta registrando negli ultimi giorni, dopo la prova di forza (poco importa se con metodo arrogante) data dal Premier in occasione della elezione del Capo dello Stato. Egli ha imposto, senza trattare con alcuno,  la elezione di chi aveva deciso lui stesso, cancellando lunghi mesi di intese e collaborazione col maggiore partito di opposizione, che più volte, in nome del cosiddetto Patto del Nazareno, aveva salvato il Governo, annullando l’effetto della defezione della minoranza interna del PD. L’alleato di Governo NCD poi è stato trattato alla stregua di un salariato, cui è stato intimato di obbedire senza discutere e basta. 

In un simile contesto non ci si può meravigliare che, all’interno di un Parlamento di nominati (per altro delegittimato da una sentenza della Consulta, che ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale con la quale era stato votato) si sia avviato un esodo biblico verso la maggioranza.

Non viviamo forse in un Paese a fortissima prevalenza cattolica, dove ci è stato insegnato il sentimento della solidarietà? Allora perché meravigliarsi: ovviamente verso il vincitore, verso il più forte, ma sempre di solidarietà si tratta. Avvenne con Mussolini. Anche il piccolo Renzi, senza averne la statura e la voce stentorea, ma nutrendo le stesse ambizioni ed una inclinazione politica verso l’autoritarismo non dissimile, aspira ai medesimi benefici. La legge elettorale “vomitellum” che sta cercando di imporre rivela tale aspirazione, anzi rappresenta un passo avanti ulteriore verso il dispotismo, tanto che, al confronto, la fascista legge Acerbo impallidisce. 

Avanti stabilizzatori, soccorritori, nuovi responsabili, trasformisti, opportunisti, traditori, volta gabbana. Sarete i padri della terza ed ultima Repubblica di stampo cesarista, che prima o poi finirà con l’incontrare il suo Peron e la sua Isabelita, che non possono per fortuna essere Matteo e Maria Elena, a cui manca quel qualcosa che fa la differenza. Tutto questo, salvo che qualcuno, secondo la vecchia regola imparata nei corridoi di congregazioni, sagrestie, conventi, o in quelli delle sacre stanze vaticane, non trovi l’occasione per accoltellare l’usurpatore, magari con la benedizione del mite Francesco.

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