PDC Suffragette

Da lunghi anni si dibatte in merito alla necessità di coinvolgere le donne nell’agone politico-istituzionale. Sebbene a partire dagli anni Settanta molti passi avanti siano stati compiuti, il legislatore per stimolarne ulteriormente la partecipazione alla vita democratica ha pensato di approvare un’apposita norma. Si tratta della legge 23 novembre 2012 n.215 che reca “disposizioni volte a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali”. Un grimaldello, un artifizio legislativo ai limiti della legittimità costituzionale che ha come scopo ultimo rinfoltire di donne le assemblee elettive. Di certo una scorciatoia che se da un lato stimola per forza di cose il gentil sesso a partecipare maggiormente, dall’altro potrebbe creare delle distorsioni nel sistema vanificando i risultati attesi. Senza ombra di dubbio la novità più significativa è la modifica della legge per l’elezione dei consigli comunali (comuni superiori ai 5mila abitanti) con l’introduzione di misure tese a rafforzare la presenza femminile oltre a consolidarne la parità numerica con gli uomini nelle giunte. La legge citata prevede una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio tra i sessi. La prima è la quota di lista: nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi. La seconda è data dall’introduzione della cosiddetta doppia preferenza di genere che consente all’elettore la possibilità (non l’obbligo!) di esprimere due preferenze purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza. Una tutela che ha poco di liberale e meritocratico ma molto di ideologico in quanto crea paradossalmente una disparità tra i sessi sino ad incidere significativamente sul raggiungimento dell’obiettivo finale: l’elezione. Le parità di condizioni di una qualsiasi competizione devono essere quelle di partenza e non quelle di arrivo. Ma tant’è. In sostanza si è voluto rinchiudere nel recinto di una disposizione normativa la giusta necessità di garantire pari opportunità di partecipazione a soggetti di sesso diverso, sfociando così in discutibili guarentigie. La presenza femminile, sino a quando questa bislacca legge rimarrà in vigore, di certo crescerà nella speranza però che al contempo aumenti anche l’impegno e la dedizione alla vita politica. Da evidenziare, infine, che già nel 2010 la Regione Campania, prima tra tutte, stabilì la possibilità di esprimere il doppio voto anticipando sui tempi il Parlamento. Non è un caso, infatti, che il meccanismo della doppia preferenza abbia prodotto la maggior percentuale in assoluto di donne elette (23 per cento) rispetto alle altre Regioni italiane. L’interrogativo, però, rimane ed è forte. Donne e politica, basta una legge?

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