L’eutanasia è da sempre una tematica che divide, non solo politicamente ma anche e soprattutto dal punto di vista religioso, e infine, ma non meno importante, dal punto di vista medico. Una tematica spesso accantonata dalle istituzioni che rimandano la regolamentazione, per evitare spaccature dagli equilibri tanto sottili, come un filo di seta. Un paese civile, se tale vuole essere però deve avere il coraggio di promuovere una sana e lucida discussione su una tematica cosi importante. I piani del confronto sono diversi: religiosi, politici, medici, difficilmente in apparenza sembrano conciliabili. Ma è anche vero che l’informazione per giungere ad una corretta e serena decisione rappresenta uno degli elementi fondanti.
Eutanasia: letteralmente dal greco “buona morte” consiste materialmente “nel procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia.” Nella pratica si sono manifestate varie tipologie o metodiche che la possono rappresentare: da quella “attiva diretta” quando il decesso è provocato tramite la somministrazione di farmaci che inducono la morte (per esempio sostanze tossiche), “attiva indiretta “quando l’impiego di mezzi per alleviare la sofferenza determina, come effetto secondario, la diminuzione di tempi di vita, “passiva” quando provocata dall’interruzione o l’omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell’individuo, “volontaria” quando segue la richiesta esplicita del soggetto, espressa essendo in grado di intendere e di volere oppure mediante il cosiddetto testamento biologico, “ non-volontaria” nei casi in cui non sia il soggetto stesso ad esprimere tale volontà ma un soggetto terzo designato (come nei casi di eutanasia infantile o nei casi di disabilità mentale),infine l’eutanasia indiretta, che punta l’attenzione al ricorso delle cure palliative, “che possono comprendere l’uso di analgesici e sedativi in quantità tali da comportare − come effetto secondario e non desiderato − l’accorciamento della vita del paziente.” Ulteriore categoria è rappresentata dal “suicidio assistito” cioè quando vi è l’aiuto del medico , ma senza l’utilizzo di somministrazione di sostanze. Già dalle prime definizioni e sotto categorie si evince che la tematica è complessa, e proprio per tali ragioni dovrebbe essere presa in considerazione dalle istituzione per porre in essere una legge adeguata, e che impedisca il “fai da te” e lasciare in balia di se stessi i malati terminali che lucidamente vorrebbero disporre della propria vita e dei medici che vorrebbero alleviare la sofferenza di questi pazienti senza incorrere a delle conseguenze legali laddove essa è considerata al pari dell’omicidio. Dalla terapia del dolore al capitolo dell’accanimento terapeutico, alla “Rinuncia all’accanimento terapeutico” al “Rifiuto delle cure” le “sfumature ” decisionali sono moltissime, e non si comprende per quale motivo lo stato si ostini prima a prendere tempo per “non legiferare sulla tematica” e poi non garantisca libertà di scelta agli individui, laddove vi siano tutte le premesse di lucidità richieste, attraverso un testamento biologico che intervenga quando si verifichino le circostanze stabilite dall’individuo.
Una latitanza legislativa che non impedisce comunque il soggetto nel decidere, ma che però lo lascia solo, non permettendo al medico italiano di aiutarlo nel caso vi siano lucide premesse decisionali, senza incorrere in una denuncia per omicidio.
Ogni giorno sembrerebbe che 4 persone malate terminali, si suicidano in modi anche più terribili.
Difronte ad una richiesta di discussione nei modi e nei protocolli per tutelare paziente malato terminale e medico, si preferisce nascondere la testa come gli struzzi sotto la sabbia.
Negare la problematica non servirà per risolverla. La questione morale etica e deontologica “della somministrazione della morte è un tema controverso fin dalla nascita della medicina.” Nel Giuramento di Ippocrate (circa 420 a.C.) si rimarca : “Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.” anche se dobbiamo sottolinearlo nel corso della Storia classica la scelta favorevole o contraria dipendeva molto dalla simpatia del regnante di turno. Altri Stati hanno legiferato, e stabilito seri protocolli da seguire diligentemente. Altri Stati hanno discusso sulla tematica e ascoltato coloro i quali si sono mobilitati per vedere riconosciuto un proprio diritto : il diritto di scegliere della propria vita.
A prescindere dalle opinioni favorevoli o contrarie, non si chiede è bene sottolinearlo spesso, una morte anticipata al malato terminale, a tutti i malati terminali, ma “concedere ” libertà di scelta a coloro che per motivi comprensibili , in momenti precedenti alla malattia terminale e degradante, (espressa in modo tale da essere in grado di intendere e di volere ) abbiano coscientemente deciso di porre fine alla propria vita con dignità, magari avendolo specificato prima in un testamento biologico. L’Italia diventerebbe un paese più Civile se decidesse di legiferare in modo certosino una problematica cosi importante.
