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Una apposita Commissione Parlamentare, fortemente voluta dal Presidente della Camera Laura Boldrini e dal giurista Stefano Rodotà, si è occupata nei mesi passati di stilare una prima bozza della Dichiarazione dei diritti in Internet.

Il lavoro della Commissione si è articolato in sole tre sedute (così si evince dalla documentazione disponibile on line) e ha prodotto un testo che è stato sottoposto alla pubblica consultazione (dovrebbe, se non ricordo male, essersi chiusa in questi giorni). L’iniziativa era stata promossa in occasione del semestre italiano di presidenza europea. Il testo, infatti, secondo le intenzioni di Boldrini e Rodotà doveva essere destinato a una discussione in ambito internazionale. Della cosiddetta “Carta dei Diritti” hanno parlato in pochi, per lo più addetti ai lavori, e l’interesse per l’iniziativa è subito venuto meno. Né grande risalto hanno ottenuto le consultazioni (pare, in attesa di dati ufficiali, siano pervenuti 300 commenti e 10 proposte). Avevo già avuto modo altrove, sul blog de “Gli Immoderati”, di esprimere il mio giudizio negativo sull’iniziativa e non posso che prendere atto, con soddisfazione, degli scarsi risultati che ha prodotto. Soddisfazione per il fallimento politico, ma anche un po’ di amarezza perché, come sempre, temi complessi e importanti, come quello dell’impatto delle nuove tecnologie sulla nostra vita e sui nostri diritti, vengono utilizzati in maniera strumentale e propagandistica.

Come ebbi già modo di sostenere, il lavoro della Commissione Parlamentare può essere sintetizzato con la nota espressione “la montagna ha partorito il topolino”. La Carta dei diritti infatti nulla aggiunge di nuovo rispetto a quanto già ampiamente affermato a livello internazionale sia da un punto di vista normativo che giurisprudenziale. Non si capisce, quindi, quale sarebbe stato il valore aggiunto che un documento, peraltro partorito e discusso in Italia, avrebbe dovuto avere in ambito internazionale.

Ma quel che più sconcerta è la grande confusione che caratterizza il documento normativo, che confonde tra diritti, principi e interessi, come se si trattasse della stessa cosa (senza entrare in tecnicismi, non sono la stessa cosa e richiedono infatti diverso trattamento specie per quel che attiene le modalità di protezione).

Con riguardo ai diritti, in particolare, non si capisce se e dove vi sia una differenza, anche quanto alle modalità di tutela, tra diritti tradizionali e nuovi diritti specifici per il mondo del web.

L’oggetto della carta era ed è dunque totalmente indefinito e confusionario, così come assolutamente vago è il ruolo che la Dichiarazione intende assumere all’interno del sistema normativo italiano. Il termine “Dichiarazione” peraltro è un termine solenne e impegnativo, che farebbe pensare a un documento di rango costituzionale (ma che di fatto costituzionale non è!). In vari passaggi dei resoconti delle sedute si legge che il testo avrebbe addirittura ambizioni sovranazionali, dovendo costituire una base di Carta dei diritti di Internet da sottoporre addirittura a livello europeo.

Tralasciamo di esaminare questo aspetto – anche se fa sospettare che l’iniziativa sia un po’ fine a se stessa – per entrare nel merito dello spirito e dei contenuti della carta. Il giudizio rimane un giudizio del tutto negativo ed evidenzia ancora una volta il fallimento di politiche di iper-regolazione e di ipertrofia normativa. Ritengo che vi sia necessità in generale di poche, semplici e chiare regole, e che l’assenza di articolate discipline normative in determinati ambiti della vita sociale non sia affatto un male, tutt’altro. E proprio il mondo di Internet è un mondo che per sua stessa natura richiede poche, semplici, chiare e flessibili regole. E ciò è dovuto proprio alla peculiarità della rete, caratterizzata da decentramento anziché accentramento.

Non voglio sostenere che la Politica non debba occuparsi di Internet ma che, se ritiene di farlo, lo dovrebbe fare con criterio. Ma soprattutto, prima di istituire qualsiasi commissione e di concentrare (inutilmente) forze nella redazione di testi di legge, sarebbe forse il caso che il legislatore, con un atto di umiltà, si chiedesse se davvero un suo intervento è necessario.

Nel caso di specie, a Internet non serve una Carta dei Diritti. I politici si mettano il cuore in pace.

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