Parmigiano made in Italy ma creato presumibilmente anche in Germania, vino Barolo made in Italy ma prodotto presumibilmente in Russia. Il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, il Gorgonzola, l’Asiago, la ricotta e la mozzarella, il Prosciutto di Parma e il Prosciutto di San Daniele, gli olii extravergine di oliva, l’olio d’oliva toscano, prodotti negli Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e l’America Latina, ma percepiti come se fossero italiani…
Gli esempi innumerevoli, di quello che sembra oggi essere un ”falso” problema, in realtà nasconde dietro un giro d’affari di milioni di euro inimmaginabili. Si perchè mai come in questi anni la ”falsificazione” dei prodotti made in Italy si sta espandendo a macchia di leopardo, determinando non solo uno svantaggio economico per il nostro Paese ma anche un ritorno di immagine negativo a livello internazionale.
Ma andiamo per ordine: Made in Italy viene percepito come un marchio commerciale, anche se a dire il vero non è un marchio propriamente detto, potrebbe essere considerato più come un’indicazione di provenienza, che “indica che un prodotto è completamente progettato, fabbricato e confezionato in Italia”. Secondo uno studio di mercato realizzato dall’azienda KPMG, il “Made in Italy” è il terzo marchio al mondo per notorietà dopo Coca Cola e Visa.
La problematica, dunque riguarda il cosiddetto “italian sounding”, la percezione cioè “della produzione e commercializzazione di prodotti che “sembrano” italiani, attraverso la falsificazione impropropria tramite l’utilizzo di colori, parole, immagini, ricette e denominazioni che fanno immediatamente associare il prodotto all’Italia, nonostante non abbiano nessun tipo di legame con l’Italia.”
Nel 2009 una legge interviene e ne stabilisce le linee guida ,secondo quanto regolamentato dall’art.16 della legge 166 “solo i prodotti totalmente fatti in Italia, cioè progettati, fabbricati e confezionati in Italia, possono utilizzare la “scritta” marchi Made in Italy, 100% Made in Italy, 100% Italia, tutto italiano, in qualsiasi linguaggio essi espressi, con o senza la bandiera italiana, dunque il “Made in Italy” è un indicazione che può essere usata esclusivamente ” per i prodotti le cui fasi di lavorazione e o passaggi, abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano ” e cosa molto più importante in caso di violazione o abuso è punito dalla legge.
Ovviamente la norma ” Made in Italy ” prende in considerazione moltidudine di settori, dai prodotti tesseli, alla pelletteria, agroalimentare. La legge Reguzzoni ha introdotto un sistema di etichettature obbligatorie che sia in grado di mettere in evidenza la cosi detta “tracciabilità” che parte dal luogo di origine ad ogni fase successiva se vi fosse.
Uno dei settori più in crescita, in questo momento è rappresentato dall’agroalimentare italiano nel mondo, che vede un proliferare di falsificazioni alimentari, mai visto prima.
I dati dell’Istat parlano chiaro: il giro d’affari relativo al fenomeno del falso “Made in Italy” è pari a 52 miliardi di euro circa, vale a dire secondo uno studio recente “quasi il triplo del valore delle esportazioni dall’Italia di prodotti autentici ” 19,57 miliardi di euro.
I danni derivanti dalla “falsificazione” del made in Italy comprende vari ambiti di applicazione, dalla perdita monetaria ed economica per lo stato i cui prodotti vengono “taroccati” al danno di immagine perchè inevitabilmente mette a rischio la fiducia da parte dei consumatori nell’acquisto di prodotti considerati italiani, e infine ma non meno importante, il danno alla salute, perchè gli standard qualitativi generalmente sono più bassi e potrebbero, come spesso è accaduto diventare dannosi per la salute dell’acquirente.
Un problema che oggi molti giuristi tendono a soprannominare “agromafia” o di “pirateria agroalimentare” spesso determinato da un sistema carente dal punto di vista informativo relativo alla tracciabilità e filiera del prodotto.
Da una parte l’Italia cerca di tutelarsi attraverso i riconoscimenti Dop, Igp e Stg attribuiti dall’Unione europea più di 200 prodotti riconosciuti dal 2012 e attualmente attivi. Ma purtroppo, allo stato dei fatti, questa non sembra essere stata una soluzione definitiva: perchè come spesso accade, qualche produttore arriva persino a falsificare l’ etichettatura.
Allora cosa fare? Come intervenire concretamente?
Ad oggi gli esperti e addetti del settore chiedono maggiori controlli che non solo certifichino la tracciabilità, reale , vera, del prodotto “made in Italy” ma che puniscano maggiormente tutti i “falsificatori o pirati ” del prodotto taroccato, onde impedirne il proliferare.
