L’election day del prossimo 31 maggio pone il mondo politico nazionale dinanzi a un dubbio: esiste un caso Campania? Molto se ne è discusso e di certo ancora se ne sta parlando nelle stanze dei palazzi che contano. E’ inutile nascondere che quanto si sta consumando all’ombra del Vesuvio ha del paradossale. Ovviamente il riferimento è alla candidatura a governatore del sindaco di Salerno Vincenzo De Luca (Pd), condannato in primo grado per abuso in atti d’ufficio e vincitore delle primarie del suo partito. Certo, vale sempre e per tutti il principio di innocenza ma nel caso specifico le questioni che emergono sono diverse e non tutte hanno a che fare con tematiche giudiziarie.
Il primo elemento è rappresentato dalla cossiddetta “questione morale” per anni cavallo di battaglia di una sinistra giustizialista, ma evidentemente pocco attenta alla propria storia. In altri tempi le piazze sarebbero state invase da girotondini ideologizzati: oggi invece si accetta volentieri la presenza di un condannato che senza dubbio mette in discussione decenni di fumose chiacchiere e principi teorici valevoli per altri ma mai per se stessi. Un aspetto che ovviamente chiama in causa anche il premier non eletto Matteo Renzi capace di grandi proclami, ma incapace di compiere scelte concludenti da vero leader politico dimostrando così una palese immaturità.
Il secondo aspetto è di natura più pratica. Se il candidato del Pd dovesse vincere le regionali (battendo l’uscente Stefano Caldoro) non potrebbe ricoprire il ruolo di presidente della giunta in quanto incompatibile. Sul suo capo pende, infatti, come una spada di Damocle la legge Severino. Un norma discutibile e a tratti anticostituzionale che però agisce come una tagliola nei confronti dei pubblici amministratori condannati anche solo in primo grado. Gli effetti sarebbero immediati mettendo in disussione la governabilità regionale. Piaccia, oppure no.
In sostanza, il destino politico-amministrativo di circa sei milioni di abitanti sarebbe sospseso a causa di capotiche scelte politiche avallate dal Rottamatore e dai suoi.
E’ giusto che giochi di potere, voglie di protagonismo, vanità frustrate, irrefrenabili egoismi condizionino le sorti di un territorio dalle grandi risorse, ma caratterizzato da numerose criticità? Un interrogativo che non può non risuonare nelle orecchie di chi avrebbe potuto evitare di inscenare una pantomima dagli effetti ancora imprevedibili.
Senza dubbio, una brutta pagina politica che sottolinea la debolezza dei partiti ormai sempre più ridotti ad apparati di potere e non più corpi intermedi capaci di ascoltare il territorio interpetandone le esigenze.
Mancano due mesi alle elezioni: un periodo se si vuole utile per fare definitivamente chiarezza mettendo la parola fine ad una recita di cattivo gusto e di scarso appeal per gli elettori-spettatori.
