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In Italia non c’è nulla di più certo della incertezza del diritto. Così mi viene da commentare in maniera sbrigativa l’ultima pronuncia della Cassazione in merito a un noto caso giudiziario. Ma, a ben pensarci, questo commento si può tranquillamente estendere a tutta una serie di situazioni che rendono l’Italia, citando Luigi Zingales, “culla del diritto e tomba della giustizia”. Le considerazioni sul diritto italiano che mi vengono in mente sono tante e forse non mi basterebbe qualche pagina. Posso in maniera molto sbrigativa ma al contempo credo incisiva dire quanto segue. Sulla Carta abbiamo forse le più belle leggi del mondo. Peccato poi che l’applicazione pratica sia talmente disastrosa da renderle le più brutte, stupide e insensate. Potrei dilungarmi in un lungo elenco. Potrei per esempio parlarvi di come sulla carta certe norme del codice civile siano pensate per tutelare i più deboli ma di fatto tutelano i più furbi. Un esempio? I termini di grazia nel procedimento di sfratto. Il principio in sé è più che nobile: consentire al debitore in difficoltà di sanare entro tre mesi i debiti maturati per la locazione. Nella pratica ahinoi semplicemente si consente al debitore non pagante magari da anni di prendersi gioco ulteriormente del locatore restando nell’immobile locato ancora qualche mese senza pagare alcunchè.

Potrei parlarvi, passando al settore penale, di come un principio bellissimo – quello della presunzione di non colpevolezza – sia frustrato ogni giorno sempre di più da mezzi di informazione che sbattono sulle prime pagine presunti innocenti considerati già alla stregua di colpevoli. Potrei parlarvi di come un’idea sacrosanta, quella dei tre gradi di giudizio, provochi ogni giorno distorsioni notevoli. Il caso recente di Amanda Knox né è un esempio. Come è possibile che gli stessi elementi probatori possano essere valutati in maniera così differente da un giudice all’altro tanto da determinare un ribaltamento delle decisioni dei gradi successivi? Mi si potrebbe obiettare che i tre gradi rappresentano una garanzia per l’imputato che alla fine potrebbe vedersi riconosciuto innocente. Ma vi chiedo: che giustizia è quella che arriva dopo 8 anni? Che giustizia è quella che dopo 8 anni ribalta tutte le decisioni precendenti? Che giustizia è quella che dopo 8 anni non è riuscita a individuare i veri colpevoli? Che giustizia è quella in cui chi viene dichiarato innocente s’è comunque dovuto sopportare il pregiudizio dell’opinione pubblica? Che giustizia è quella che porta a una assoluzione dopo che comunque s’è scontata una ingiusta detenzione?

Sono le mie domande evidentemente provocatorie. Chi scrive crede fortemente nella giustizia e nelle regole procedimentali e processuali. Chi scrive accette sempre con entusiasmo di andare ad insegnare ai ragazzi delle superiori come funziona il mondo della giustizia.

Tuttavia, vorrei che alla bellezza delle norme positive scritte sulla carta (quella bellezza che racconto ai ragazzi quando partecipo ai Legalitour di Libera per esempio) corrispondesse sempre anche una bellezza delle norme positive applicate nella realtà giudiziaria. Perchè dei diritti sulla carta ma non effettivi nella pratica ce ne facciamo purtroppo ben poco.

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