Il 25 aprile del 1945 il CLNAI comunicò alla radio di aver assunto i poteri del Governo del Paese, recuperando una importante parte dell’onore infangato da un ventennio di dittatura, indegne leggi razziali imposte dalla Germania, devastazioni, guerra civile. L’Italia cessava di essere divisa in due tra la claudicante monarchia con il Governo Badoglio e la protezione americana al Sud ed il fantoccio repubblichino di Salò, guidato formalmente da Mussolini, ma in effetti nelle mani dei tedeschi, al Nord. Oggi si celebra il settantesimo anniversario. Questa ricorrenza rappresenta il recuperato orgoglio nazionale, scolpito da Piero Calamandrei, nell’affermazione che bisognava “resistere per vivere e morire da uomini”. E’ quindi giustamente il giorno che celebra, in primo luogo, il ricordo di due anni di guerra partigiana, ma anche la ritrovata Unità Nazionale, la pace, la dignità, la libertà e, dopo il referendum del successivo 2 giugno, la Repubblica.
Sarebbe riduttivo e falserebbe la verità storica non accomunare nella memoria il generoso e determinante ruolo delle truppe americane, che pagarono il prezzo della liberazione del nostro Paese dal fascismo e dall’occupazione tedesca con molte decine di migliaia di morti, sacrificati in difesa della nostra libertà. Quegli eventi hanno dato vita al più lungo periodo di pace della intera storia italiana ed europea. Ci ha quindi sempre indignato un antiamericanismo diffuso, che si è sforzato di rimuovere il valore altamente morale dell’impegno di una nazione amica, che non soltanto ci ha restituito la libertà, ma, grazie alla generosità del Piano Marshall, ha concretamente contribuito alla rapida ripresa economica del nostro Paese.
Proprio mentre l’Italia si esaltava nella riscoperta della democrazia con il suffragio universale per la prima volta esteso anche alle donne, un’altra potenza vincitrice della guerra imponeva il proprio dominio, attraverso governi fantoccio nei Paesi occupati, divideva in due la Germania sconfitta e giungeva, qualche anno dopo, al culmine della brutalità, sfregiando la città di Berlino con un muro, che la attraversò per ventisette lunghi anni come un terribile marchio di vergogna, separando famiglie e mortificando affetti e valori umani. Berlino Ovest rimase accerchiata all’interno del territorio della DDR e si salvò grazie al ponte aereo realizzato dagli USA per rifornirla di tutto quanto necessario.
Il nostro Paese fu in bilico e avrebbe potuto subito la stessa sorte dei Paesi dell’Est, se le potenze occidentali, durante le discussioni per il trattato di Yalta, non fossero riuscite ad imporne la collocazione nella loro zona di influenza politica e strategica. Celebrando i valori della resistenza non si può ipocritamente continuare ad ignorare, come è avvenuto per molti anni, che una parte di quei combattenti partigiani non intendevano deporre le armi, perché con esse avevano in mente di imporre un regime comunista all’Italia.
Sarebbe venuto il momento di domandarsi chi furono i veri mandanti dell’attentato a Togliatti e dare atto che il “migliore” dal letto di ospedale, riuscì a fermare, con il suo messaggio radiofonico, una guerra civile pronta a scoppiare. Non importa chiedersi se in lui prevalesse il senso di obbedienza agli ordini di Stalin, piuttosto che l’amor di Patria. La storia la fanno gli atti concreti, non le ragioni che li hanno determinati. Una cosa è certa. Gli eventi di quegli anni andrebbero meglio studiati, capiti, spiegati alle nuove generazioni, che non li hanno vissuti: non bastano rituali e, spesso vuote, celebrazioni. I francesi il quattro giugno hanno reso onore alle nazioni alleate che, con il leggendario sbarco in Normandia e al prezzo di decine di migliaia di morti, hanno inaugurato la modernità, nel nome della libertà, sconfiggendo la barbarie nazifascista. In Italia quella memoria sembra essersi evaporata. Soffiano venti autoritari e invocazioni dell’uomo solo al comando, insieme a tentativi di imporre modifiche costituzionali ed elettorali che mortificano il principio della sovranità popolare e riducono gli spazi di democrazia.
Il piccolo capo del Governo italiano ha collezionato in meno di una settimana due umiliazioni sonore. La prima quando, per ottenere una legittimazione interna, è andato ad inginocchiarsi davanti ad Obama, il quale non gli ha comunicato della tragica uccisione dell’italiano Giovanni Lo Porto in Afganistan o, peggio, gli ha dato la notizia, ma per non guastare l’effetto della propria visita, lo stesso Renzi ha chiesto di tacere ancora per qualche giorno su quanto accaduto al nostro cooperante. Non meno grave è stato l’esito del fallito tentativo di farsi ascoltare al Consiglio europeo, dove le sue, pur giuste ed accorate richieste per fronteggiare il peso di una catastrofe umanitaria che si sta abbattendo soltanto sul nostro Paese, sono state accolte alla stregua del ruggito del topo. Il gelido sguardo di sufficienza della Signora Merkel esprimeva indifferenza e disprezzo verso quelle migliaia di migranti in fuga dalla fame e dalle guerre, ma anche tutta la sufficienza verso il rappresentante di un Paese che, secondo il suo pensiero, non avrebbe mai dovuto osare di alzare la voce. Evidentemente la Cancelliera tedesca, dimostrando di avere al posto del cuore un cubetto di ghiaccio, non ha dimenticato quanto ha imparato crescendo in quella Repubblica germanica, che aveva la parola “democratica” nella denominazione, quasi per mortificarne l’intrinseco significato. In ogni caso bisogna riconoscere che, se gli istituti di reting se ne occupassero, l’autorevolezza internazionale del nostro Presidente del Consiglio, si aggirerebbe intorno al livello zero, nonostante la servile esaltazione delle gesta del personaggio da parte dei media nazionali.
Tutto questo ci mortifica come italiani e ci preoccupa come europei convinti e principalmente come democratici. Quindi la nostra celebrazione del giorno della liberazione non può che risultare mesta e risentire delle preoccupazioni che ci affliggono per l’incerto futuro di una libertà conquistata così a coro prezzo. Le analogie col 1922 sono troppe e significativamente convergenti per non sollevare gravi interrogativi.
