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Le imminenti elezioni regionali ed amministrative sono caratterizzate dal disinteresse generale, che rappresenta la cifra evidente del fallimento del federalismo per un ventennio unanimemente invocato. La disaffezione investe principalmente l’istituto regionale, che si è rivelato fonte di sprechi, corruzione e malgoverno. Dopo quarantacinque anni si sta avverando la profezia di Malagodi, che condusse un’epica battaglia contro la istituzione delle Regioni a statuto ordinario, arrivando persino ad organizzare un ostruzionismo, che non sarebbe stato, in condizioni normali, nelle corde di un Partito con elevato senso dello Stato, come il PLI.
Tranne il Partito Democratico, sospinto da un enorme potere diffuso e dalla figura dominante di Renzi, tutti i partiti nazionali appaiono frantumati e poco influenti, mentre ovunque, specialmente nelle competizioni per i comuni, sono sorti variopinti movimenti locali, senza radici né idee, che si stanno attivando in un grande lavorio sotterraneo per sostenere piccoli personaggi, senza idee e pieni di ambizione. Tutto si svolge all’insegna di un trasformismo privo di etica e di cultura, ma sempre in soccorso del più probabile vincitore.
Al fallimento del modello federalista, corrisponde la ricerca di un nuovo centralismo, da affidare all’uomo solo al comando. I diversi movimenti politici in campo non corrispondono più allo schema destra – centro – sinistra, in auge fino a ieri, ma tendono ad identificarsi col capo, superando l’impostazione del partito organizzato con regole democratiche, alla ricerca di soggetti carismatici, spesso con inclinazioni autoritarie.

L’elemento caratteristico del ventennio appena trascorso, costituito dal confronto tra berlusconismo ed antiberlusconismo, si sta riproponendo in modo eguale con l’erede Renzi, che produrrà soltanto renzismo ed antirenzismo. L’unica differenza consiste in una modifica del posizionamento: mentre l’ex cavaliere cercava di coprire l’area del centrodestra, lasciando alla sinistra uno spazio minoritario, il giovane caudillo, sta tentando con successo di conquistare l’enorme spazio vuoto del centro, mantenendo una parte del tradizionale elettorato di sinistra e tentando di sospingere la destra verso un terreno elettorale più ristretto, dominato dall’estremismo. La nuova geografia elettorale gli può consentire il lusso di emarginare la sinistra radicale e sindacale, che non costituisce un pericolo, perché comunque non potrà mai allearsi con la destra.
Il passaggio politico attuale, che pare muoversi verso il nulla, viene perfettamente interpretato dal trasformismo del Capo del Governo, che non vede l’ora di potersi liberare del PD, con tutto il suo armamentario di riti e tradizioni, per approdare ad una sfumata formazione, vocata soltanto alla gestione del potere ed alla venerazione del capo. Il vagheggiato Partito della Nazione tende ad occuparsi del cittadino dalla culla alla bara e non ha bisogno della complessa e pesante organizzazione democratica e pluralista al proprio interno, come nella struttura dello Stato.
Berlusconi quindi è politicamente finito, anche se dovesse conquistare il governo di qualche Regione, perché aveva un ruolo fino a quando era in grado di tenere insieme gli avversari in termini antagonistici. Oggi tale compito è affidato a Renzi, anche grazie all’errore commesso nella breve stagione del Nazareno, di avergli regalato una legge elettorale che lo favorisce, in quanto ha escluso ogni concreta alternativa, anche grazie all’inconciliabilità delle estreme.
Nel novantaquattro Berlusconi ha colto la vocazione profonda del Paese e lo ha connotato, lasciando in eredità, a chi è venuto dopo, il privilegio di una inclinazione verso la vocazione maggioritaria. Quello che è stato il vantaggio degli scorsi vent’anni, oggi lo rende marginale e ha innescato all’interno del suo partito una diaspora infinita, all’insegna del si salvi chi può, cominciata con la scissione di Alfano, proseguita con quella di Fitto e che vedrà altri abbandoni da parte di chi vuol cercare nuove sponde per il proprio salvataggio.
Le incognite che riservano le elezioni ormai prossime sono soltanto la dimensione dell’astensionismo, la misura del successo di Renzi, la più che probabile tenuta di Grillo. Nel caso di una ulteriore prova di disaffezione dell’elettorato e di un successo meno vistoso di quello delle Europee, lo stesso Presidente del Consiglio potrebbe avere la tentazione di accelerare il percorso verso elezioni politiche, che, in caso di ballottaggio, lo vedrebbero competere con Grillo, anziché con un centro destra in fase di smottamento e dominato dalla indigeribile presenza dell’estremismo di Salvini e Meloni.
Un piccolissimo successo delle liste liberali in competizione potrebbe servire, se ve ne sarà il tempo, a lavorare per creare un ransamblement liberal-democratico, che, in un domani magari non lontano, scontando una fase di difficile opposizione al populismo dilagante, possa proporsi come l’unica alternativa credibile all’autoritarismo personalistico.

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1 COMMENTO

  1. Ho letto con vivo interesse l’articolo dell’on. Stefano de Luca.
    Si tratta di uno di quegli articoli che, a lettura ultimata, non possono non indurre il lettore a fare una breve pausa di riflessione interiore e meditare pensoso sullo stato in cui versa la politica del nostro paese allo stato attuale. Già nel titolo stesso è possibile leggere in contro luce un sommesso ma doloroso senso di rammarico, quasi di avvilente frustrazione, per il fatto che il paese ancora una volta, a distanza di venti anni, si ritrovi, mutatis mutandis, in una situazione da berlusconismo rispolverato e rimesso a nuovo. Per un Berlusconi che va, un berluschino che torna: Renzi, un uomo solo al comando, la resurrezione, la reincarnazione di una concezione tutta individualistica e personalistica e, in ultima istanza, tutta Presidenzialistica del potere e della politica. Si tratta di un modo di pensare e di agire assai inquietante in fondo al quale stanno depositati populismo e autoritarismo; il primo è consenso senza regole, il secondo è regole senza consenso.
    Purtroppo, vent’anni di Berlusconi e di Berlusconismo sono stati estremamente dannosi; vent’anni non sono venti giorni o venti settimane o venti mesi. Vent’anni sono un lasso di tempo più che sufficiente per dare un giudizio equanime e distaccato di quella storia. E’ tempo, dunque, – dopo il tramonto delle storiche ideologie novecentesche, dopo che destra, sinistra, centro sono diventati più roba da segnaletica stradale, che categorie politiche ideali e valoriali, dopo anni di arrivismo, carrierismo, trasformismo, di invereconda transumanza di pecore e pastori da un recinto all’altro – di voltare pagina, di invertire la tendenza. Come?
    a) avviando un processo di scomposizione e ricomposizione di tutte quelle forze democratiche e progressiste, di ispirazione cattolica, liberale e socialista per aggregare intorno ad esse una alternativa di governo in cui la gente possa riconoscersi e scommettere;
    b) rivalorizzare i partiti restituendoli a quella funzione per la quale sono storicamente nati, ossia, associazioni volontarie di cittadini fondate sulla comunanza di princìpi, idee e valori e sulla adozione di mezzi e programmi per realizzarli.
    Per fare ciò, è necessario farla finita una buona volta con i partiti virtuali, i partiti liquidi, i partiti ectoplasma da rimpiazzare con partiti organizzati, strutturati e radicati nella società, non più asserviti e immiseriti sulla devozione, adorazione e venerazione del capo e meno che mai su quella buffa e goffa fantasmagoria di liste civiche dietro le quali si occultano interessi e manovre di soggetti cinici e loschi.

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