Nel 2004 è uscito nelle sale cinematografiche un film di pregevole fattura, purtroppo senza il meritato successo di pubblico, dedicato a uno dei più grandi giocatori di golf: Bobby Jones – Genio del golf. Diretta dal regista e sceneggiatore statunitense Rowdy Herrington, con la splendida interpretazione di James Caviezel, l’opera narra la vita e le gesta sportive di un uomo straordinario, le cui decisioni possono apparire oggi talmente incredibili da non essere credute, soprattutto da chi ha ridotto la propria esistenza al volgare carrierismo e all’accumulo di denaro.
Robert Tyre Jones jr., detto “Bobby”, nacque ad Atlanta, capitale della Georgia, il 17 marzo 1902. Fin da giovane ebbe problemi di salute, tanto da rischiare la vita appena nato. I benefici dell’aria aperta e la passione del padre lo spinsero sin da piccolo a giocare a golf, sport del quale Bobby si innamorò da subito. Talento straordinario, dotato di uno swing tra i più eleganti di sempre, emerse vincendo il suo primo trofeo giovanile a 6 anni e partecipando, a soli 14 anni, allo United States Amateur Championship.
I primi tempi, le sue doti sportive trovarono nel suo temperamento, facile all’ira, il principale ostacolo all’ottenimento della vittoria nelle competizioni. Eppure Bobby mostrò, tra le sue qualità, una grande forza di volontà, per cui, una volta maturato il necessario equilibrio interiore, strabiliò il mondo vincendo tutto ciò che era possibile vincere. Nel 1930 vinse l’Open Championship, lo U.S. Open, lo U.S. Amateur e il British Amateur. In suo onore, venne coniata per la prima volta nella storia del golf la locuzione “Grand Slam”.
Amato dai suoi concittadini (e non solo) e corteggiato dai pubblicitari, Bobby Jones non volle mai diventare professionista.
“Sono un amateur, un dilettante. Sa qual è la radice della parola? Viene dal latino amare. Essere un amateur vuol dire amare il gioco. Quando uno gioca per soldi, non può chiamarlo amore”. Le splendide parole dette dal golfista per bocca del suo interprete Caviezel sono un pugno nello stomaco di chi, tramite i soldi, sta provando a rovinare lo sport per mero interesse. Un concetto forse estremo, ma con un fondo di verità. E il film ci pone Bobby Jones come un gigante, un “gentiluomo”, capace di cogliere l’autentico spirito del golf.
Con la medesima incorruttibile forza di volontà, Jones si laureò in Ingegneria e in Letteratura. Divenne avvocato, professione a cui si dedicò dopo essersi ritirato dalle competizioni sportive, a soli 28 anni. Abbandonò per amore della famiglia, per essere vicino alla moglie e ai figli. Uomo di altri tempi!
Bobby deliziò il mondo del golf con gesti onorevoli, come quando decise di lasciare a St. Andrews il prestigioso trofeo vinto nel 1927. E la città scozzese lo premiò nel 1958 nominandolo Freeman of the city of St. Andrews, secondo americano meritevole del riconoscimento, dopo Benjamin Franklin.
Nel 1933, insieme a Clifford Roberts, fondò in Georgia l’Augusta National Golf Club, oggi sede di uno delle quattro competizioni professionistiche più importanti del golf, le cosiddette “Major”, componenti il Masters Tournament.
Nel 1948 gli venne diagnosticata una malattia dolorosa che colpì il midollo spinale: la siringomielia.
Morì il 18 dicembre 1971, nella sua città natale, tre giorni dopo essersi convertito al cattolicesimo, religione della moglie. E’ seppellito all’Oakland Cemetery di Atlanta.
In conclusione, le parole giuste per descrivere questo gentleman, capace di resistere alle tentazioni della volgarità e di portare avanti lo spirito di Pierre de Coubertin, sono riportate nel bellissimo film la cui visione è assolutamente consigliabile: come scrisse Henry Grantland Rice, “quando il Sommo Arbitro si appresterà a scrivere il tuo nome, non scriverà se hai vinto o perso, ma solo come hai giocato la partita”.
