Alle elezioni regionali tutto è andato come previsto, nel peggiore dei modi. Il partito di maggioranza assoluta, è stato quello del non voto, al quale vanno aggiunte le schede bianche e le nulle. Quasi nessuno si sofferma sulla gravità di questo dato, che non rappresenta soltanto la sfiducia dei cittadini verso la democrazia ed i suoi riti, ma esprime una forma silenziosa, ma molto cupa di ostilità, che nessuno potrà più a lungo ignorare.
Il secondo segnale forte è rappresentato dall’indiscutibile successo di due partiti collocati sul versante estremista, uno, il M5S, addirittura antisistema, ed il secondo, almeno fortemente critico verso le Istituzioni nazionali ed europee, come la Lega.
Se quindi la principale sconfitta della tornata elettorale è la democrazia in genere, non inferiore è stato l’insuccesso del giovane e supponente Capo del Governo, che, senza se e senza ma, ha dovuto incassare una prima, sonora sberla. Infatti, non soltanto il PD e arrivato ad una percentuale lontana in modo siderale dal casuale e fortunoso 41% delle Europee, ma la linea renziana è uscita nettamente sconfitta. Ove il PD infatti ha prevalso, il risultato è dovuto a personaggi invisi a Renzi, come Vincenzo De Luca e Michele Emiliano o legati alla minoranza di Bersani, come Enrico Rossi, Luca Ceriscioli e Catuiscia Marini, mentre i candidati di riferimento del Presidente del Consiglio hanno tutti perso, e malamente. Il regolamento dei conti interno con una minoranza, che ha umiliato il giovane segretario del Partito in Liguria ed in Veneto, sarà molto più difficile del previsto, se si tiene conto che la stessa vittoria in Campania probabilmente non è altro che l’effetto di una reazione di segno contrario a quanto era nelle intenzioni della Bindi, con la proditoria pubblicazione in cima alle liste di proscrizione, del candidato Presidente De Luca.
Il risultato complessivo, nonostante la soddisfazione per la vittoria in condizioni difficili di Toti in Liguria, certo non può far sorridere Berlusconi, che ha visto più che dimezzati i risultati del suo partito e che dovrà affrontare le conseguenze delle scissioni consumate e di quelle ancora in incubazione. Inoltre, se è vero che le recenti elezioni hanno dimostrato che, ancora oggi, il centro destra, se unito, appare l’unico avversario in condizione di contendere il primato al PD, il condizionamento della Lega e più complessivamente della componente estremista, rende quella centista moderata più marginale e difficilissimo il ruolo dello stesso ex Cavaliere, che comunque rimane l’unico in grado di tentare l’acrobazia di cercare di riunire l’intera area.
Allo stesso tempo il consolidamento delle posizioni del M5S, anche con un ruolo più defilato di Grillo, rappresenta una minaccia da non sottovalutare, in vista di un sistema elettorale che potrebbe prevedere un ballottaggio tra i primi due partiti, con elevate probabilità che uno di essi possa, in un futuro non lontano, essere proprio quello grillino.
L’unica strada per salvare la democrazia in Italia, a nostro avviso, è quella di trovare il modo di rimobilitare la metà degli italiani, che ormai abitualmente ha deciso di disertare le urne, offrendole nuove motivazioni. In primo luogo si tratta di dimostrare che esiste una componente sociale, che rifiutando di identificarsi nell’antipolitica, sia animata dalla volontà di riconciliare etica, cultura, visione ideale e valoriale, in un rinnovato impegno politico di alto profilo. Inoltre bisognerebbe dimostrare che la parte più attiva e produttiva del Paese intende combattere concretamente il mostro burocratico ed i connessi sprechi nella spesa pubblica, finalizzata a coltivare clientele, parassitismo e corruzione.
L’area politica del centro è rimasta completamente sguarnita e la borghesia produttiva, imprenditoriale, professionale, agricola, delle piccole e micro imprese, è priva di rappresentanza. E’ venuto il momento che si diffonda un’epidemia di idee liberali per ridare coraggio ad un ceto borghese rinunciatario, che invece, riscoprendo il merito, la competitività, il gusto del rischio, il valore del sacrificio del singolo, decida di ritornare in campo, facendosi protagonista del proprio destino.
E’ quindi finito il tempo della semplice testimonianza per il PLI, che deve proporsi come lievito per la formazione di un’ampia area liberal-democratica, pronta ad allearsi con il centro destra che c’è, senza pretendere che esso riesca a trasformarsi in tempi rapidi in quello che dovrebbe, se il Paese non attraversasse una crisi di valori così profonda, con l’obiettivo di contrastare l’antipolitica e l’autoritarismo pragmatico del veloce, ma superficiale e pericoloso Matteo Renzi.

Ho letto con interesse l’argomento di primo Piano del 2 giugno di Stefano De Luca e lo condivido tranne un punto. Dissento nel modo più assoluto e ritengo impensàbile e improponibile una alleanza con il centro- destra lontano dalla nostra storia, cultura, etica, onestà. Se ciò accadesse sarebbe la fine.