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Il vitaminico Renzi, dopo la pausa elettorale, riprenderà senza incertezze il suo cronoprogramma, anche se ė uscito un po’ ammaccato dalle elezioni regionali della scorsa settimana, che hanno registrato un sensibile calo rispetto al risultato stellare del 40,8% delle europee dello scorso anno, con l’aggravante che i candidati Presidenti di stretta osservanza del segretario sono stati sconfitti, mentre i cinque del PD eletti sono tutti a lui ostili.

Il M5S è rimasto sostanzialmente inchiodato intorno alla percentuale del 20/25%, perdendo pochissimo rispetto alle politiche, tanto da dimostrare di essersi radicato nel territorio e di poter prescindere dal carisma del proprio leader. Si candida quindi a divenire la seconda forza politica del Paese per partecipare al ballottaggio previsto dall’Italicum alle prossime elezioni politiche, e tentare di conquistare il Governo del Paese.

Il centro destra moderato è uscito indebolito e diviso, mentre si annunciano nuove scissioni, che finiranno col penalizzare ulteriormente Forza Italia. Come reale opposizione, a destra, si è imposta la Lega, schierata su posizioni anti europee e lepeniste, collegata con FdI, che si è qualificata come sua appendice estremista. Berlusconi, anziché tentare di ricostruire un’area moderata, dimostra di voler inseguire una poco omogenea alleanza con Salvini, forse obbedendo alla sua naturale vocazione di uomo di destra, e, comunque, per naturale attrazione utilitaristica ad allearsi, sempre, spregiudicatamente col più forte. In tal modo si dimostra disinteressato alla costruzione di una vera alternativa di Governo, preferendo accontentarsi di un forte blocco di opposizione, che ne possa comunque tutelare gl’interessi aziendali.

L’unico vero problema di Renzi è costituito dalla sua minoranza interna, che è  riuscita a fargli male in Liguria e che ha eletto parecchi Presidenti della vecchia “ditta”, preparandosi a dare battaglia al Senato su Scuola e Riforme Costituzionali.

Molto probabilmente, il Capo del PD cercherà, come ha fatto per l’elezione del Presidente della Repubblica, un accordo al ribasso con la sua minoranza interna, in cambio dell’emarginazione dei personaggi più aggressivi, quali Bindi, D’Attorre o Fassina e riservandosi di chiudere la partita con Bersani, Cuperlo , Speranza e gli altri alla prossima occasione.

Il centro destra non toccherà palla, specialmente NCD, penalizzato dal risultato delle regionali e destinato ad un progressivo ed inesorabile ulteriore indebolimento. Infatti Alfano guida un partito senza un chiaro profilo politico, in quanto, legato, esclusivamente per ragioni di potere, ad un’alleanza di Governo con il  centro sinistra. Tale scelta ha finito col renderlo poco credibile nei confronti dell’elettorato moderato, prigioniero di un atteggiamento subalterno nei confronti del Presidente del Consiglio, al quale non è stato in grado di imporre una sola riforma che porti il nome del suo movimento. Al medesimo tempo, oggi, si trova esposto all’impopolarità, dovendo gestire la spinosa vicenda dell’immigrazione, con il suo partito per altro sfiorato dallo scandalo della corruzione, che coinvolge la gestione dei centri di accoglienza. In tale contesto, di fronte alla liquefazione del patrimonio elettorale, molti suoi parlamentari sono in fuga, alcuni guardando all’approdo renziano, altri pensando al ritorno nella casa berlusconiana.

Lo spregiudicato Capo del Governo, quando vorrà, potrà consumare la rottura definitiva con la sinistra interna e con il mondo sindacale, che si avviano a costituire una modesta formazione politica di estrema sinistra, mentre egli muove decisamente, per mancanza di competitori, alla conquista del grande spazio lasciato libero, al Centro, da un Berlusconi in difficoltà nel suo partito ed alla rincorsa di Salvini.

Quando questo percorso sarà compiuto e Renzi potrà attribuirsi il merito, anche se non ascrivibile alle politiche del suo Governo, di una piccola ripresa economica, andrà alle elezioni per consolidare il suo potere personale, nominando al rango di parlamentari e ministri soltanto persone di sua assoluta fiducia e trasformando il PD, destinato a diventare Partito della Nazione, in una formazione di stampo peronista, legata esclusivamente al carisma del capo, forte di un dominio assoluto su tutte le strutture dello Stato.

Le residue “debolezze” dell’area liberal democratica non possono permettersi di rimanere assenti o di compiere la scelta opportunistica di legarsi ad uno dei soggetti autoritari e personali in atto sulla scena. Esse hanno il dovere di tentare il risveglio di una borghesia dormiente, che si è rifugiata nel non voto, rinunciando al proprio ruolo naturale di classe giuda del Paese. Dovrà essere ricercata con determinazione  la strada per unire, sulla base di un messaggio unitario, il più rapidamente possibile, movimenti politici, centri studi, iniziative locali e della società civile in modo da costituire un unico soggetto elettorale ispirato ai valori del liberalismo, oggi del tutto assente, che possa.   conseguire almeno il 3% necessario a conquistare un diritto di tribuna in Parlamento, dal momento che, allo stato, appare poco prevedibile l’ipotesi di un’alleanza con una delle forze politiche esistenti.

Il quadro è sconsolante, ma non si può rimanere inattivi di fronte allo attuale scempio delle Istiuzioni repubblicane, con un feroce attacco al principio della separazione dei poteri, senza scendere in campo a difesa dei valori fondanti che hanno ispirato la Costituzione democratica del 1948. 

 

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