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La città di Roma ha subito periodicamente, nella sua lunga storia, una serie di eventi drammatici, noti come “Sacco”. In queste situazioni l’Urbe è stata oggetto di brutali devastazioni, di cui sono state vittime soprattutto gli abitanti.

Cominciò Brenno, a capo dei Galli Senoni, nel 390 a.C. Fu drammatico il Sacco del  1084, ad opera dei Normanni, con il conseguente spostamento della sede papale dal Laterano al più sicuro Vaticano. Nella mente di tutti resta terrificante la violenza dei Lanzichenecchi, calati sui colli e sulle valli tiberine per volontà di Carlo V d’Asburgo. A Roma, dopo questo tragico evento, rimasero solo 20.000 abitanti.

Se ne ricava che l’Urbe non ha soltanto tratto beneficio, nei secoli, del suo ruolo di guida politica, militare e spirituale delle vicende del Vecchio Continente, ma ne ha subito tragiche conseguenze, molte delle quali frutto di un accentratore cesaropapismo. La città si è sempre leccata le ferite, riuscendo a reagire e a non perdere quel ruolo di faro che ancora oggi le viene riconosciuto, non tanto nell’ambito della cultura campanilistica dell’attuale italietta quanto nelle popolazioni centro e nord europee. Dall’Inghilterra, addirittura dal sindaco di Londra, riecheggiano le parole “The dream of Rome”, mentre cittadini romani e non, politici romani e non, sembrano maggiormente concentrati sul trafiggere la Grande Bellezza con un nuovo Sacco. Un Sacco meno cruento di quello dei secoli passati, ma più subdolo e pericoloso, perché perpetrato dall’interno, per meri fini di egoismo, nell’esaltazione della peggiore cultura italiana dell’arrivismo, della furbizia e del ladrocinio, tanto attaccata da Prezzolini.

Roma appare morente. Le antiche vestigia soffocate da un’urbanistica sospesa, composta da opere incompiute, scheletri e brandelli di ferro ammorbanti, follie architettoniche di quartieri invivibili, in un miasma maleodorante di sporcizia diffusa. I ricordi di infanzia, anche se ammantati di una realtà quasi onirica, riportano all’immagine di una città dove tutti desideravano vivere, perché bellissima, magnifica, simbolo di uno stile di vita ineguagliabile. Il presente, invece, presenta una massa scontenta e nervosa, non più propensa alla gioia di vivere, ma facile all’ira; soprattutto, talmente degenerata nell’indole da aver portato a un sublime infernale l’arte di succhiare il sangue di Roma.

Di questo quadro preoccupante, che impersonifica Roma nel bellissimo, mefistofelico Dorian Gray, a causa della grave responsabilità non soltanto dei politici, ma di tanti cittadini che con questi politici hanno convissuto alle spalle e sulle tasche dei romani onesti, è emblematica la gestione dei servizi pubblici locali.

Ci sarebbe tanto da dire sul sistema corrotto di cui si è ammalata la città, in ogni parte del suo antico e mal ridotto corpo, ma quello che qui preme sottolineare è che, si arrivi o meno allo scioglimento per Mafia del comune, cosa talmente grave da far sprofondare tutta la cittadinanza in uno stato di vergogna morale senza precedenti, è necessario, quanto prima, avviare una riforma legislativa seria per una gestione efficiente e corretta dei tanti servizi pubblici locali.

Sia chiaro: non è un problema soltanto di Roma, considerato che l’Italia è sparsa di comuni nelle medesime condizioni. A Roma, però, tutto ciò che di negativo si possa pensare è ingigantito e non in maniera fittizia. La città è realmente nel caos ed è realmente sporca. I mezzi pubblici non funzionano veramente e il problema della sicurezza, non quella percepita, ma quella vissuta sulla pelle dei cittadini, è allarmante: rapine in casa, furti, auto bruciate, aggressioni. Ogni quartiere abbonda di questa casistica. E Roma Capitale, anziché impegnarsi nella soluzione dei problemi, mostra di essere il fulcro di un sistema criminale, addirittura mafioso, che su tutte queste doglianze lucra in maniera smisurata.

E’ in atto il Sacco peggiore che la città di Romolo abbia mai subito.

La preoccupazione maggiore sta nel fatto che non è chiaro se la cittadinanza reagirà. Un po’ perché per buona parte collusa, ma anche perché i romani onesti e laboriosi sembrano non avere forza, spossati e stanchi da anni di corruzione, per cui il famoso disincanto della tradizione capitolina sembra aver lasciato il posto allo spleen baudelariano. Lo scoramento è forte nella città che ebbe la forza di concepire la gloriosa Repubblica Romana, quella del 1849, il cui sapore di libertà e giustizia è ancora oggi assaporabile sul Gianicolo, soffocata dopo pochi mesi nel sangue da chi non ha mai voluto che i principi liberali prendessero piede nell’Urbe.

Ebbene, proprio come allora, è necessario che questi principi liberali vengano applicati. All’epoca della Repubblica Romana i protagonisti fecero in tempo a tradurre tali principi soltanto in una bellissima Costituzione. Ai giorni nostri, invece, il metodo liberale andrebbe implementato in maniera massiva, rivoluzionando il concetto di burocrazia che tanti scandalizza, ma che a tanti alti garantisce l’illecito guadagno.

Il sistema delle aziende municipalizzate, che fa di Roma il terzo polo aziendale d’Italia, è di una inefficienza disarmante. Confrontata con le altre metropoli mondiali, sembra di vivere in una capitale del terzo mondo. Una città che si mantiene sui meriti degli antenati, ma che lascerà in eredità ai propri discendenti uno scempio ingiustificabile. Una città che, se vuole tornare ad essere quantomeno rispettata, deve abbandonare la cultura del parassitismo pubblico e dell’assistenzialismo, abbracciando definitivamente la libera concorrenza e la meritocrazia.

 A partire dalla gestione dei citati servizi pubblici locali. Basta con i monopoli dei carrozzoni municipalizzati! Lo scandalo di Mafia Capitale conferma che bisogna sviluppare un progetto che preveda l’obbligatorietà del bando di gara, vero strumento concorrenziale, a condizioni eque e non discriminatore, per l’affidamento di tutti i servizi pubblici che l’Amministrazione comunale, direttamente, non è nelle condizioni di gestire.

Perché sobbarcarci, senza peraltro essere stati interpellati, gli oneri e le inefficienze di aziende pubbliche incapaci di tenere una strada pulita o di coprire un tragitto con un parco bus pulito, sicuro e tale da non lasciare l’utente per ore in attesa alla fermata?

Bandi di gara, ai quali possono partecipare, oltre ai carrozzoni che già conosciamo, le aziende private interessate. L’importante è che il tutto venga fatto secondo un vecchio adagio del drafting normativo: poche norme, ma chiare. Una legge nazionale che fissi i criteri a cui gli Enti locali devono attenersi per le procedure di affidamento. Trattandosi di servizio pubblico, le aziende partecipanti dovrebbero presentare, oltre a una situazione giudiziaria dei propri soci limpida, una capacità tecnico-organizzativa ben definita a livello normativo e dovrebbe essere vietato, senza alcuna deroga, il sub-affidamento. La qualità del servizio dovrebbe essere oggetto di valutazione e, qualora l’affidatario non si dimostrasse all’altezza, l’affidamento verrebbe revocato e l’affidatario inserito in una black list, per cui non potrebbe più partecipare alle future gare.

Si tratta chiaramente di una idea, a grandi linee, su cui lavorare per cercare di impedire un futuro Sacco di Roma, laddove oggi Mafia Capitale ha dimostrato di navigare indisturbata. Un punto di partenza per una semplificazione normativa che impedisca ai soliti furbetti di arricchirsi illecitamente. Un inizio per garantire ai cittadini una qualità dei servizi che tanto gli italiani invidiano quando confrontano il proprio paese con altri chiaramente più evoluti sotto questo aspetto.

L’Urbe, come l’Italia tutta, non ha bisogno di rifarsi il trucco, ma di recuperare se stessa.

Il metodo liberale le sarebbe d’aiuto.

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