A partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo nel Mondo occidentale si sono affermati differenti sistemi democratici. Ad eccezione dei Paesi anglosassoni e dell’Italia del primo cinquantennio unitario, non si è trattato in prevalenza di democrazie liberali, le quali, oltre al principio dell’eguaglianza, esaltano quello molto più rilevante della libertà. Dopo il trauma delle due grandi guerre e delle dittature di stampo fascista e nazista, ovunque si sono instaurati sistemi democratici, anche se con differenze legate alle diverse tradizioni storiche. La Francia, erede della cultura napoleonica, dopo un lungo periodo di instabilità, con De Gaulle, scelse un sistema maggioritario, mentre Germania, Italia, Benelux e Paesi nordici si orientarono verso formule di tipo parlamentare. Dopo la caduta dei regimi di Salazar e Franco, durati più a lungo delle altre dittature, grazie alla scelta della neutralità nella Seconda Guerra Mondiale, anche Spagna e Portogallo scelsero la democrazia parlamentare.
Tranne che in Italia, (dove si registrò una sorta di sistema bloccato a causa della presenza di un Partito Comunista antioccidentale molto forte) tutti gli altri Paesi per un lungo periodo sono stati caratterizzati dall’alternarsi di alternanze tra soggetti o coalizioni contrapposte di ispirazione socialdemocratica o conservatrice. I partiti di tradizione liberale, al centro, alleandosi ora con la parte riformista ora con quella moderata, sovente, hanno svolto il ruolo di ago della bilancia, nonostante le percentuali elettorali quasi ovunque modeste.
In tale contesto si è rafforzata l’Alleanza Atlantica e si è messo in moto, inizialmente tra grandi entusiasmi e speranze, dopo, tra contraddizioni e miopie, il processo di costruzione dell’Unione Europea.
Il crollo del sistema sovietico, con la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino, ha cambiato radicalmente gli equilibri e determinato nuovi fenomeni politici.
La riunificazione della Germania, di fatto, ha modificato l’essenza del percorso comunitario, innanzi tutto perché l’impegno tedesco si è concentrato principalmente sulla necessità di assicurare ai Land della ex DDR, lo stesso livello di sviluppo di quelli occidentali. Inoltre è stato favorito un prematuro allargamento ai Paesi dell’Est, che non avevano lo stesso grado di sviluppo economico e la medesima esperienza democratica. Infine, un ulteriore fattore di squilibrio, è stato rappresentato dalla moneta unica, sostanzialmente derivata dal Marco tedesco, adottata prima di procedere ad una ulteriore integrazione politica, che avrebbe reso le Istituzioni comunitarie più forti e assicurato un maggiore equilibrio tra Est ed Ovest, tra regioni continentali ed area mediterranea.
In tale contesto di fragilità istituzionale, è piombata una crisi economica internazionale, che se si è rivelata grave per tutti, poiché ha avviato un irreversibile processo di erosione della classe media. Questa, tuttavia, è stata devastante per i Paesi mediterranei, a causa di un fenomeno migratorio di proporzioni bibliche, quale conseguenza della micidiale guerra, che, in nome del fondamentalismo islamico, incendia l’area del Nord Africa ed il Medio Oriente.
Questo insieme di eventi ha stravolto i sistemi politici europei, che non sono più in grado di produrre, come in passato, un facondo pensiero plurale capace di disinnescare i conflitti, piuttosto sembrano avviarsi verso cambiamenti profondi, che daranno luogo ad una fase incerta di postdemocratica.
In Gran Bretagna, una solida tradizione di Democrazia Liberale ha consentito di evitare la disfatta populista, anche per l’abilità del leader conservatore Cameron, che ha prosciugato elettoralmente l’alleato liberaldemocratico e contenuto la minaccia antieuropea di Farage, mentre dovrà fare i conti con la volontà secessionista del partito scozzese, che ha fatto il pieno di seggi nella propria regione. La furbizia di promuovere un referendum sulla permanenza o meno nell’Unione, assicura al Primo Ministro conservatore un ulteriore vantaggio, anche in conseguenza della riduzione al minimo storico del partito laburista, che potrebbe scomparire, come avvenne per il partito Liberale britannico dopo la Prima Guerra Mondiale.
Anche la Germania gode di una forte stabilità, grazie al dominio assoluto della signora Merkel su un alleato socialista, caratterizzato da un bassissimo profilo ed obbediente, forse anch’esso in una fase di inarrestabile declino. Inoltre la Cancelliera può contare sul controllo assoluto della Commissione della fragile UE, che appare sempre più germanocentrica.
Dopo alcuni decenni di fortuna, quale soluzione democratica, che si contrapponeva al comunismo liberticida, Il socialismo europeo appare, in generale, distrutto e forse avviato ad un definitivo declino. Esso infatti faceva leva su una costante crescita economica, che permetteva un welfare sempre più ampio e costoso ed una pressione fiscale elevata, mentre oggi, la spesa pubblica non può più essere il rimedio per la giustizia sociale. Nelle periferie delle città, popolate da disoccupati, ceti medi impoveriti e cittadini emarginati, in lotta per la casa, per il lavoro, per l’assistenza, si sono aperti nuovi conflitti con i nuovi arrivati sospinti dall’immigrazione. Tutti i Paesi europei appaiono terremotati da risultati elettorali senza precedenti, che hanno portato alla ribalta forze estremiste, populiste e personalistiche. Sorgono dappertutto nuovi movimenti politici, sia di destra che di sinistra, fondati sulla protesta, il populismo ed il rifiuto di tutti gli schemi di un passato, legato alle ideologie tradizionali. Syriza in Grecia, Podemos e Ciudadanos in Spagna, Front Nazional in Francia e analoghi soggetti ovunque. In Polonia le elezioni sono state vinte dalla destra nazionalista di Andrzej Duda. Persino in Danimarca Helle Thorning Smidt, moglie del figlio del grande leader britannico Neil Kinnock, è stata sconfitta da un movimento di estrema destra anti europeo e xenofobo.
In Italia il fenomeno del partito padronale si era già imposto con Berlusconi, che aveva determinato un uguale e contrario movimento, fondato sull’antiberlusconismo. Il renzismo odierno ne è il figlio legittimo ed ha il merito indiscusso di aver distrutto quel che rimaneva dell’antico armamentario ideologico ed organizzativo del vecchio PCI. Tuttavia ha avviato la trasformazione del PD in un partito personalistico, che non ha saputo proporre un credibile riformismo. Infatti, dopo una breve fase di popolarità, il giovane leader sembra avviato verso un rapido declino. Il conservatorismo ottuso della Merkel ed il riformismo incolto di Renzi rappresentano la prova evidente di una profonda crisi di sistema, priva di sbocchi positivi.
La fine della lunga stagione caratterizzata dalle democrazie tradizionali in Europa, apre nuovi scenari, caratterizzati dalla ricerca di inedite realtà politiche, che potrebbero nascere all’insegna di un ritrovato impegno di cittadinanza. In Italia, superate le vecchie categorie di destra centro e sinistra, si è già palesato da qualche anno un grande fermento localistico, attraverso la nascita di molte liste civiche, che tuttavia non hanno trovato la strada di un denominatore comune. L’unica novità è stata il M5S, che tuttavia ha sprecato l’occasione del grande successo ottenuto alle elezioni politiche, ponendosi come soggetto antisistema. Negli ultimi tempi, sembra progressivamente voler abbandonare le posizioni nichiliste e padronali, dettate dal proprio fondatore, per ricercare un nuovo ruolo di interlocutore disponibile ad assumere responsabilità di Governo; quindi avviando al proprio interno la faticosa costruzione di una più strutturata classe dirigente.
Il fermento localistico come ricerca di nuovi orizzonti politici non è in contrasto con il metodo liberale, che non si qualifica come una ideologia chiusa, al pari di quelle con cui si è trovato a competere a lungo. Pertanto tali fermenti devono essere valutati positivamente, dal momento in cui si candidano ad essere razionali protagonisti del sistema e non semplici elementi di critica distruttiva. Il movimento spagnolo Ciudadanos sembra assumere una caratteristica interessante e va osservato con attenzione.
La grande alleanza dei liberali, di cui parliamo da anni, non è altro che l’unione, sulla base dei valori della libertà e della cittadinanza, di forze innovatrici, che vogliano spazzar via le sovrastrutture di una insopportabile burocrazia, di un sistema assistenziale e clientelare, di un diffuso statalismo, distruttore di risorse pubbliche. L’obiettivo dovrebbe essere quello di un nuova responsabile alleanza, fondata sui valori fondanti della Repubblica, che si ponga l’obiettivo di abbattere la insostenibile pressione fiscale, per creare condizioni di sviluppo del mercato e della concorrenza, della fioritura dei saperi, del riconoscimento del merito, insieme al diritto, costituzionalmente garantito, di un welfare giusto e di una doverosa assistenza ai più deboli. Si tratta di avviare quindi la costituzione di “comitati di libera cittadinanza” per far ripartire una buona politica, reinventata dal territorio, in nome di una cittadinanza consapevole, che aneli a spazi sempre più ampi di libertà. Soltanto dal basso si può resuscitare una concezione dell’Europa, quale entità politica sovranazionale, superando l’attuale concezione penalizzante, che la relega al modesto ruolo di miope strumento di tutela degli interessi germanici, ostile al riconoscimento della importanza di una vocazione mediterranea.
