L’Area Studi Mediobanca ha pubblicato, in questi giorni, un interessante rapporto dal titolo “Economia e finanza delle principali società partecipate dai maggiori enti locali (2006-2013)”, con cui è stato sapientemente delineato il complesso e articolato mondo delle società di servizi pubblici controllate dai maggiori Enti locali.
Pur non entrando nel merito di tutti i dati e delle considerazioni snocciolate nelle 161 pagine del documento, può essere di qualche utilità estrapolare qualche numero per comprendere come il fenomeno sia radicalmente istituzionalizzato con, però, modalità di gestione e risultati competitivi diversificati.
Il Rapporto di Mediobanca cita Unioncamere, che nel 2011 ha redatto uno studio di grande interesse, “Le società partecipate dagli enti locali”, grazie al quale sappiamo che Regioni, Province e Comuni hanno partecipazioni in ben 5.512 aziende, controllandone 3.601. I Comuni, ovvero l’ente pubblico più prossimo al cittadino, generalmente chiamato a garantire i servizi pubblici essenziali, la fanno da padrone, disponendo del 59,7% delle partecipate e del 63,7% delle controllate.
Numeri da capogiro se consideriamo il fatturato complessivo, pari a 59,3 miliardi di euro, e il numero di dipendenti: 266.872 persone. Un universo che il Dipartimento del Tesoro dimensiona, aggiornamento a dicembre 2012, in ben 7.726 aziende partecipate dalla estesa voce delle “Amministrazioni locali” (Regioni, Province, Comuni, Università e Camere di Commercio).
Anche in considerazione di questi elementi base, Mediobanca ha effettuato un’analisi economico-finanziaria di 66 società, partecipate con quote rilevanti da 115 Enti locali, esaminandone i principali risultati economici, la struttura patrimoniale, gli investimenti, i dividendi e il patrimonio netto. Uno studio sui bilanci non di tipo spot, ma relativo a un periodo abbastanza lungo, che va dal 2006 al 2013, quindi un arco temporale sufficientemente utile a comprendere la grandezza di questo mondo dove, per quanto possano riscontrare i cittadini, spesso si annidano i difetti della gestione della cosa pubblica a livello territoriale.
Il paniere, in cui sono incluse aziende dei settori energetico, trasporto pubblico locale, ambiente, aeroporti e autostrade, ha riportato nel 2013, a livello aggregato, ricavi pari a 30,7 miliardi di euro con un impiego di 131,3 mila dipendenti. Rispetto al 2006 i fatturati complessivi sono aumentati del 34,2%, mentre il Margine Operativo Netto, indicatore della redditività di un’impresa, è sceso nello stesso periodo dello 0,9%.
Interessante notare come in molti settori, le imprese interessate abbiano goduto, nel 2013, di corrispettivi e contributi pubblici per lo svolgimento della propria attività di servizio pari a 4,8 miliardi di euro. Uno sforzo riconducibile con molta probabilità a un’inefficiente gestione dell’attività, visto che gli introiti tariffari son stati non sufficienti a coprire i costi di gestione. In sintesi, non solo gli Enti pubblici hanno creato una pletora di aziende per la gestione dei servizi, ma sono costretti a foraggiarle con altro denaro pubblico perché le stesse non sono in grado di coprire le proprie spese. Nel 2013 ben il 15,4% dei ricavi è rappresentato da interventi pubblici di tipo economico. Eppure i cittadini sono chiamati a pagare “bollette” salate per vedersi assicurato il servizio.
In questa “catena montuosa”, spiccano per negatività due giganti di Roma Capitale, Atac e Ama, con perdite nette nel periodo considerato rispettivamente di 1,2 miliardi e 288 milioni di euro, peraltro con la scadente qualità del servizio nota ai cittadini romani. Curioso notare come i risultati migliori, in termini di profitti, siano delle società quotate in borsa, come A2A, Hera, Acea e Iren. Forse, essere presenti nel mercato borsistico, con i conseguenti maggiori controlli sui parametri finanziari da rispettare, fornisce migliori garanzie sul mantenimento di una gestione efficiente dell’azienda.
Interessante notare, inoltre, come l’occupazione presso le utilities sia incrementata del 10,6% nel periodo 2006-2013, con il trasporto pubblico locale capace di inglobare il 43% del totale della forza lavoro: A2A impiega 12.392 persone, ATAC 11.696, ATM di 9.283, Hera 8.326, Ama 8.000, Acea 6.374.
Ma quanto sono competitive queste imprese? Se si esamina il Costo del Lavoro per Unità di Prodotto (CLUP), valore fondamentale per comprendere l’efficienza e la competitività di un’azienda, la situazione è differenziata tra Nord e Sud Italia. Al Nord, a parità di valore del costo del lavoro, vi è un valore aggiunto netto superiore e tale da determinare un CLUP decisamente migliore rispetto al Meridione.
Un capitolo a parte viene dedicato alla governance o meglio alle modalità di designazione degli organi sociali e ai compensi degli amministratori. Compensi che mediamente sono più alti nel Lazio (67 mila euro che salgono a 96 mila per le figure apicali), in Basilicata, in Lombardia, Sardegna e Puglia.
Quelli menzionati sono soltanto alcuni dei numeri sciorinati nel rapporto di Mediobanca. Numeri che confermano come l’Italia sia una nazione dove il pubblico, anche a livello locale, è fortemente invasivo nei settori economici. Le aziende degli Enti pubblici locali rappresenterebbero addirittura il quinto gruppo industriale del nostro paese.
Se si pensa che il patrimonio netto complessivo delle aziende partecipate dagli Enti locali ammonta a 16,7 miliardi di euro e che il valore di borsa di quelle quotate è di 8,5 miliardi di euro, è facile fare una riflessione come da sempre i liberali invitano a fare: la vendita di queste imprese consentirebbe di coprire una parte dell’ingente debito pubblico italiano.
Infatti, pur essendo evidente anche dallo studio di Mediobanca che vi sono alcuni esempi virtuosi di gestione del servizio pubblico locale, in genere nel Nord, da parte di aziende partecipate da Enti locali, appare opportuno intraprendere la strada dell’alienazione delle utilities companies. Al contempo, andrebbe creato un sistema trasparente ed efficiente di concorrenza, aperto ai privati, purché vi siano norme chiare che garantiscano al cittadino qualità del servizio a condizioni congrue.
