Forse è arrivato il momento di compiere un’analisi più approfondita sul perché in tutto il mondo occidentale, dove fino a ieri fiorivano le democrazie, la politica sta subendo una mutazione genetica profonda, con differenze certo significative tra i vari Paesi, ma comunque generalizzata.
Persino negli Stati Uniti, un tempo simbolo dei valori democratici, le prime battute della lunga competizione elettorale per la presidenza, vedono emergere personaggi opinabili, come Ilary Clinton con tutte le ombre sui suoi comportamenti come Segretario di Stato, che, sommate a quelle del marito, si allungano sulla sua figura. Nel campo repubblicano inquieta il personaggio di Donald Trump e principalmente, da parte di un super miliardario come lui, il poco credibile messaggio smaccatamente pauperista.
In Gran Bretagna la guida del partito laburista è stata assegnata, da un suffragio popolare in controtendenza rispetto all’orientamento dei gruppi parlamentari e della componente riformista blairiana, da un populista veteromarxista, come Jeremy Corbyn, che, per l’anomalia delle sue posizioni, non potrà mai vincere le elezioni, condannando il vecchio e glorioso Labour party ad un sicuro declino. Inoltre la presenza di un agguerrito partito scozzese antieuropeo e di un UCIP nazionalista, senza rappresentanza parlamentare, ma comunque forte, costituiscono elementi di debolezza, che rendono incerto l’esito del referendum promosso dal Governo sulla permanenza nell’UE.
In Grecia abbiamo seguito come un film dell’orrore le performances del Governo di Syriza, dopo il trauma della falsificazione dei bilanci da parte di quelli precedenti. Le imminenti elezioni anticipate, riservano sicuramente altre sorprese.
Non meno incerta è la situazione spagnola, a causa della forte presenza del movimento estremista Podemos di Pablo Iglesias, mentre in Francia il robusto rafforzamento del Front National di Marine Le Pen ed il contestuale indebolimento del Partito socialista del Premier Hollande, non fanno segnare al barometro politico il bel tempo.
Anche in Polonia assistiamo ad un forte ritorno del partito populista del superstite gemello Kaczýnski, che, dopo aver vinto le elezioni politiche, eleggendo Primo Ministro Andrzej Duda, si avvia a ripetere il successo alla presidenziali. Negli stessi Paesi nordici, tradizionalmente stabili, i partiti di tradizione socialdemocratica perdono vistosamente consensi, quelli di stampo liberale non crescono adeguatamente, mentre sorgono nuove formazioni populiste e Xenofobe.
La Germania, apparentemente più stabile, ha dovuto registrare il definitivo tramonto della SDP, ormai dominata indirettamente dalla Merkel, insieme ad una contestuale incertezza di linea politica, sostanzialmente legata agli umori, spesso mutevoli e contraddittori, della Cancelliera, che non consentono al più grande Paese europeo, che di fatto ne determina la linea di politica economica e di bilancio, di assumere anche la guida strategica dell’UE.
L’epidemia populista in Italia ha colpito l’intero schieramento politico, cancellando, in verità senza alcun rimpianto, la presenza del centro destra moderato e producendo tre diversi populismi, contrapposti tra loro, ma simili nella caratteristica più profonda di partiti personali, guidati rispettivamente da leader padroni, come Grillo, Renzi e Salvini. All’estrema destra si va radicando il movimento neofascista FdI ed, a sinistra, si profila una nascente nuova aggregazione di nostalgici ex e post comunisti di variegata natura.
Non possiamo non prendere atto che la politica, come l’abbiamo concepita e conosciuta, è finita. La società di massa con la forza dirompente dei suoi mezzi di comunicazione ha di fatto cancellato i partiti ideologici o che, comunque, si richiamavano a precisi riferimenti culturali ed identitari. E’ quindi esploso il populismo più becero ed egoista, favorito dalla crisi economica e dalla pressione delle masse di clandestini che guardano all’Europa come la meta per salvarsi dalla fame, dalla guerra e poter sognare di costruire un futuro degno di essere vissuto. Quanto è avvenuto Negli USA nel secolo scorso, che si erano preparati all’evento ed hanno saputo governarlo, sta avvenendo nel nostro Continente, che non ha pensato ad una nuova società multietnica e multiculturale, mentre invece da spazio al qualunquismo egoista e sicuramente perdente di alcuni estremisti, che si rivolgono alla pancia e non al cervello dei cittadini.
In questi anni ci siamo sforzati di assicurare un presidio delle idee liberali. Molti hanno considerato il prevedibile insuccesso elettorale, una sconfitta. Si sono sbagliati. Il nostro compito non era, e non poteva essere, quello di annacquare il nostro patrimonio di valori, attraverso un’alleanza con questo o quel partito padronale per ottenere, forse, qualche modesta rappresentanza istituzionale. Dovevamo marcare una differenza netta, come orgogliosamente abbiamo fatto. La sconfitta non è nostra, ma dell’intero sistema di valori su cui si erano costruite le democrazie occidentali dopo la seconda guerra mondiale e che aveva dato l’avvio al processo di Unione Europea. Nell’ultimo ventennio potevamo soltanto svolgere un ruolo di testimonianza, anche e soprattutto, marcando la differenza con gli opportunisti che, senza esserlo, si sono spudoratamente definiti liberali. Oggi non dobbiamo rinunciare a proseguire tale cammino. Dopo l’ubriacatura populista, che ha prodotto e produce danni irreparabili nell’immediato, dobbiamo poter dimostrare , con autorevole coerenza, che vi è un’altra strada per un migliore futuro.
Certo i danni all’impianto istituzionale rischiano di essere irreparabili: abolizione di fatto del Senato, una sola camera di nominati da un uomo solo e con il premio di maggioranza al proprio personale e privatissimo partito, i più alti rami delle istituzioni, (Governo, lo stesso Senato, la Corte Costituzionale, il CSM, gli apparati statali e delle imprese pubbliche) tutti selezionati dall’unico detentore del potere. E se, dopo il giovanotto presuntuoso della provincia toscana, dovesse emergere un personaggio di ben altro spessore, cosa potrebbe succedere? Gli italiani hanno memoria corta o, peggio, cercano soltanto questo.
Il mondo liberale non ha la forza per opporsi al cataclisma che sta avvenendo, né può cercare, tra le forze maggiori che occupano il panorama politico, alleanze o compromessi. Deve invece proseguire una irriducibile battaglia di testimonianza, cercando di riunire sotto un’unica bandiera tutti coloro che, anche tardivamente, si sono accorti del pericolo che corre la democrazia rappresentativa ed hanno riscoperto il valore di una identità, ancorata alla ragione e non vocata al servilismo miserabile. Non c’è più spazio, come è sin ora spesso avvenuto, per la nascita di mille fiori liberali in un terreno politico, che purtroppo non è un campo fertile e rigoglioso, ma assomiglia sempre più ad una discarica maleodorante. La trincea su cui misurarsi non può limitarsi ad propugnare e battersi per singole riforme di stampo liberale, ma quella, ben più rischiosa e difficile, della stessa difesa della libertà.
Se il PLI sarà capace di far comprendere tale necessità, potrà, anzi dovrà, continuare il suo nobile cammino, restituendo speranza ai delusi e coinvolgendo le nuove generazioni, altrimenti la battaglia dei liberali sarà perduta per sempre.
