Non sempre alle parole viene attribuito il medesimo significato, finendo sovente col generare confusioni ed accreditare definizioni errate. Il fondo apparso sul Corriere della sera del 15 settembre a firma di Ernesto Galli della Loggia è un classico esempio di tale diffusa anomalia di carattere semantico.
Come liberale di antichissima formazione e consolidata fede, condivido quasi interamente la sostanza del ragionamento contenuto nell’articolo citato, a proposito della assenza in Italia di quella che l’autore definisce una destra rispettabile. Al netto di qualche dettaglio secondario, mi sento di identificare me stesso e l’area politica nella quale mi sono sempre riconosciuto, nella tipologia descritta da Galli della Loggia. Tuttavia non condivido, anzi respingo recisamente, che detto profilo ricalchi i tratti caratteristici della classificazione politica del mondo conservatore, che invece è ben altra cosa. Qualificarsi come riformatori liberali significa rifiutare il riformismo a tutti i costi per il puro desiderio di cambiare, atteggiamento in questi tempi molto diffuso. Un liberale, infatti, deve essere cauto prima di lanciarsi nell’avventura del cambiamento, ma deve altrettanto coltivare l’ansia di addentrarsi nell’affascinante strada del progresso, che è la radice fondamentale della libertà. Per questo non può mai confondersi con un conservatore, di solito diffidente verso il nuovo e persino reazionario. Sotto tale profilo ha pronunciato parole definitive di Benedetto Croce, il quale ha marcato in termini netti la linea di confine tra liberali e conservatori, quando chiarì che il Partito Liberale è di Centro, conservatore nelle difesa sacrale del valore supremo della libertà e innovatore, persino rivoluzionario, nell’ansia continua verso le nuove frontiere della modernità.
Molti anni, fa, all’Hotel de Ville di Parigi, nel corso di un indirizzo di saluto ai partecipanti al Congresso dell’Internazionale liberale, Chirac, allora sindaco della città, più volte aveva usato l’espressione “noi liberali”. Giovanni Malagodi, come Presidente dell’Internazionale, rispose con cortese fermezza: “mi scusi, signor sindaco, noi siamo liberali, mentre lei è un conservatore, che è ben altra, anche se pur rispettabile, cosa.”
Credo tuttavia che la intelligente analisi di Galli della Loggia, pur cadendo nella ormai diffusa contraddizione di confondere i liberali con i conservatori, sostanzialmente spieghi correttamente gran parte delle ragioni per le quali non si è sviluppato il movimento liberale, in un’Italia clericale, conservatrice, antiliberale e sostanzialmente ostile al progresso, che ha le proprie radici nel non expedit di Pio IX. L’enorme potere spirituale e materiale della Chiesa non consentì che nel nostro Paese riuscisse a penetrare il grande movimento modernizzatore della riforma, nonostante Galilei e Giordano Bruno, anzi produsse la spietata e barbarica risposta della Controriforma. Il Fascismo, nato come movimento anticlericale, fu costretto in seguito a scendere a patti con il potere del papato, concedendo il grande regalo del Concordato. Persino il comunismo, nell’ultimo dopoguerra, riuscì ad affermarsi perché assunse i connotati del cattocomunismo, interpretato perfettamente da Berlinguer. Durante la lunga fase di gestione compromissoria del potere, tra le forze cattoliche ed il PCI, furono varate importanti leggi in favore della Chiesa, come, gli svariati sostegni alle scuole clericali ed alle iniziative sociali del mondo cattolico, il Nuovo Concordato in epoca craxiana, nonché infine la legge sull’8 per mille.
Nel dopoguerra intanto la forza politica del partito cattolico era cresciuta, grazie alla tendenza ecumenica della cultura cattolica, che era riuscita a dar vita ad un partito unico del mondo cristiano, nel quale convivevano conservatori, cattolici liberali e cosiddetti cattolici democratici.
Durante la lunga stagione della Prima Repubblica sono stati quindi a lungo coniugati interessi e sensibilità molto diversi, spesso anche in contrasto, all’interno del medesimo partito,la DC, che, pur spaziando in ampie aree della società, raccoglieva la maggior parte dei consensi nel campo conservatore, principalmente in funzione di contenitore elettorale che avrebbe dovuto frenare l’avanzata del Partito comunista.
Un ulteriore fattore che non ha consentito, per un cinquantennio, la nascita e la crescita di un’opinione conservatrice rispettabile, è stata l’appropriazione della espressione “destra” esclusivamente da parte del partito neofascista di Almirante, facendo assumere a tale parola un significato negativo, almeno fino al momento dello sdoganamento di AN da parte di Berlusconi.
Tuttavia il conservatorismo di stile britannico o Mitteleuropeo potrebbe avere un suo autonomo e dignitoso posto in un rinnovato panorama politico, finalmente sgombro dall’attuale pernicioso autoritarismo padronale.
La confusione politica dell’ultimo ventennio, nel quale le identità si sono mischiate, fino a scomparire, ha dato luogo all’odierna babele, nella quale le espressioni, liberale, conservatore, riformista, progressista, democratico, hanno perso il loro originario significato, tanto che persino un uomo colto ed attento, come Ernesto Galli della Loggia, finisce col ritenere di poter mescolare e confondere radici tra loro storicamente e culturalmente differenti.
Tutto questo è l’effetto della mancata penetrazione nel nostro Paese della cultura illuminista ed evidenzia il limite culturale del Risorgimento, che si caratterizzò quasi esclusivamente come movimento nazionale, poco influenzato dai valori democratici, liberali e modernizzatori, che derivavano dalle grandi rivoluzioni americana e francese.
Articolo ” La Destra che l’Italia non ha” di Ernesto Galli della Loggia
