Parole

Come ha osservato sul Corriere della Sera Michele Ainis le parole della politica hanno perduto il loro senso originario. Democrazia, libertà, eguaglianza, giustizia, rispetto, dialettica, rappresentanza, socialità, sovranità; a ciascuna di queste parole nel novecento da parte di tutti veniva attribuito il medesimo significato, oggi invece appaiono come evaporate in un percorso che ha finito col dar loro una valenza soggettiva, non più universale. Tale cambiamento stride con la necessità che avrebbe il linguaggio di essere una delle caratteristiche unificanti di un popolo.

Prendiamo ad esempio la parola democrazia, sul cui significato da Rousseau in poi, molti intellettuali si sono soffermati, fino a definirne un concetto che sembrava universalmente riconosciuto, che invece da recente ha subito uno stravolgimento. Un partito che porta l’aggettivo democratico nella propria denominazione, ha costruito i propri rapporti per l’assunzione delle responsabilità interne con bizzarre modalità, che quasi nulla hanno a che vedere con il concetto tradizionale di democrazia. Esso raccoglie degli iscritti, che non si sa bene quali diritti e quali doveri abbiano nell’associazione. Infatti le designazioni, sia dei vertici del sodalizio (il Segretario) sia i candidati per gli incarichi istituzionali, (sindaci, governatori o altro) vengono sottoposte alle primarie aperte a tutti, compresi i passanti, gli immigrati, i nomadi, molti appartenenti ad altri partiti che vogliono esercitare la loro influenza, d’accordo con il gruppo dirigente o in contrasto con questo. I componenti degli organismi interni di direzione non vengono direttamente scelti dagli iscritti o dai votanti, ma collocati in una lista di amici e famigli del candidato segretario, che otterrà l’elezione di un numero di rappresentanti equivalente alla percentuale di consensi ottenuta nelle primarie. Renzi, per esempio, avendo riportato il sessantacinque per cento di voti come candidato alla segreteria del PD, ha indicato nella propria lista una percentuale corrispondente al risultato di componenti della Direzione Nazionale. A questi si sono subito aggiunti un gran numero di opportunisti eletti in altre liste, che, anche in considerazione del metodo di gestione personalistico ed autoritario impresso dal leader, si sono immediatamente convertiti al renzismo, tanto da indurre la cosiddetta minoranza, ridotta a numeri ridicoli, a non partecipare mai al voto finale per non farsi contare. Molti ex comunisti appartenenti al PD rimpiangono il tanto deprecato centralismo democratico, che prevedeva almeno approfondite discussioni, salvo affidare la decisione finale al capo ed al suo gruppo dirigente. Se il soggetto politico che ha scelto di chiamarsi democratico pratica in tali termini i riti della democrazia, figuriamoci gli altri. Il M5S assume di affidare le scelte alla rete. A parte la evidente anomalia che a pochi voti espressi vengono affidate decisioni di grande rilievo, bisogna chiedersi, e molti lo fanno anche dall’interno, chi ha diritto a partecipare al suffragio in rete, ma, principalmente, chi garantisce la trasparenza di tali procedure di designazione? Non si tratterà di una forma di democrazia di rito casaleggiano? Poco traspare sulle procedure di democrazia interna di partiti come la Lega o FdI, che certo non saranno improntate ai canoni tradizionali toquevilliani, ma si sa, quelli sono partiti fascisteggianti!

Per il partito di Berlusconi, tutto è abbastanza chiaro: decide soltanto il fondatore, che a suo piacimento, dal predellino di un’auto o proclamandolo in piazza, sceglie di cambiare da denominazione del movimento e poi di tornare alla precedente, nomina i capigruppo parlamentari, i segretari regionali, i membri di comitati, che poi periodicamente disfa. Ma bisogna riconoscere che si tratta di un soggetto dichiaratamente padronale!

Potremmo esercitarci analogamente sulle altre parole che tradiscono il significato originario, cominciando da giustizia. Bisogna riconoscere che, anche in passato, tale espressione ha permesso delle terribili violenze, se spesso è stata usata per stroncare uno scisma religioso attraverso il rogo, per ghigliottinare sovente gli stessi compagni con cui si era iniziata una rivoluzione, o per obbedire all’arbitrio del sovrano, al capriccio di una folla assetata di vendetta, persino alle più disumane manifestazioni di odio razziale. Non può tuttavia non allarmare quando simili distorsioni avvengono in uno Stato che si definisce di diritto e che si vanta di scrivere solennemente nei propri Tribunali che la giustizia è eguale per tutti. Abbiamo assistito invece a vere e proprie mattanze giudiziarie ed a barbariche sovraesposizioni mediatiche, con gravissime accuse (magari sulla base di illegittime intercettazioni, rubate furtivamente) e, sovente, di contro, a provvedimenti dei GIP che non convalidano gli arresti. Quello che turba maggiormente sono le contraddizioni, a volte proprio schizofreniche, tra sentenze di primo e secondo grado e talvolta anche agli artifizi giuridici di quelle di legittimità, che rinviano azzerando tutto. Il doppio grado di giudizio è certamente una garanzia per il cittadino che potrebbe essere ingiustamente accusato, ma preoccupa la enorme quantità di giudicati contraddittori. Per ridurre il numero di tali risultati, che sovente all’uomo della strada appaiono incomprensibili, da anni insistiamo sulla inappellabilità delle sentenze assolutorie di primo grado e sulla esecutorietà di quelle di secondo, per ridurre il contenzioso presso la Corte di Cassazione, cui sovente si ricorre allo scopo esclusivo di ritardare il passaggio in giudicato di una condanna ed inseguire la prescrizione.

Non ci sembra che miglior sorte sia stata riservata al termine rappresentanza. Un tempo era considerato naturale che significasse proiezione percentuale del consenso raccolto. Oggi anche questo è talmente cambiato da suscitare la legittima domanda se il senso originale del termine non sia stato stravolto. Liste bloccate decise dai padroni dei partiti esclusivamente in nome della fedeltà, premi di maggioranza abnormi, scelta e relativa nomina discrezionale di coloro ai quali vengono affidate le più delicate funzioni negli organi costituzionali, oltre che nel Governo nazionale e territoriale (ministri, assessori, consulenti, commissari di governo, ecc.). Ci si chiede, tutti questi soggetti rappresentano che cosa, o forse chi?

La parola sociale, secondo la tradizione del pensiero sia liberaldemocratico che marxista e socialista, aveva un significato pressoché univoco: era il riferimento alle classi più deboli, alle aree disagiate, ai disabili, agli anziani non autosufficienti, ai minori abbandonati o cui lo Stato riconosceva un diritto di speciale tutela. Oggi abbiamo scoperto che la maggiore voce di spesa in tale settore riguarda gl’immigrati ed i nomadi e che attorno alle ingenti somme disponibili si è creata una ignobile e diffusa speculazione da parte di cooperative protette politicamente e, sovente, legate alla delinquenza organizzata. Un fiume di denaro pubblico, che è stato sottratto agli asili nido, all’assistenza agli anziani ed agl’indigenti, che ricevono un pasto caldo e talvolta una cura medica soltanto grazie ad un ammirevole volontariato, spesso boicottato dalla burocrazia.  

Infine per farla corta, ma ci si potrebbe dilungare, le parole rispetto e dialettica, che prima erano considerate sacre. Basta per alcuni minuti assistere agli indecenti spettacoli, tutti puntualmente orientati, dei Talk show della nostra televisione, specialmente quella che dovrebbe svolgere un pubblico servizio. Sarà facile rendersi conto che si tratta di corride prefabbricate per promuovere al rango di personaggi di rilievo istituzionale dilettanti allo sbaraglio, umiliare una parte e far trionfare l’altra, con l’artifizio di evitare una replica immediata sull’argomento del contraddittore, uno squilibrio evidente delle presenze, interpolazioni di servizi redazionali faziosi e, quando non basta, con l’intervento diretto del conduttore, che ha il mandato di gestire il risultato per conto della propria parte.

Nella storia la lingua, specialmente quella italiana, ha avuto sempre delle evoluzioni, quella attuale, purtroppo ha più l’aria di uno stravolgimento.

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