Il 2015 sarà ricordato come l’anno della minaccia terroristica fondamentalista islamia di Daesh e dell’ormai palese tramonto del sogno europeo di Monnet, Adenauer, De Gasperi, Martino, come dell’analogo auspicio (anche se poco gradito in patria) di Winston Churchill. Il pericolo attentati ha blindato le principali città del continente e impaurito i rispettivi popoli, favorendo il successo di movimenti xenofobi, autoritari, anti europei, che predicano un egoismo ed un nazionalismo becero, come si è verificato nelle recenti elezioni in Francia ed in Spagna, nelle quali hanno prevalso l’indifferenza e spesso l’ostilità verso il processo di integrazione.
L’Unione Europea, guidata da un modesto politicante di mestiere, al servizio di frau Merkel, ha balbettato, si è divisa e non è stata in grado di dare alcuna risposta all’altezza del grave pericolo per le proprie istituzioni, per la moneta unica e per il ruolo stesso dell’Europa nel contesto internazionale. I principali Paesi si sono chiusi a loro volta in un egoismo senza futuro, cominciando dalla Francia, duramente colpita dal terrorismo, che ha scelto di fare ricorso al tradizionale sciovinismo nazionalista per salvare, attraverso il patriottismo, la Repubblica, ma contribuendo così involontariamente a rafforzare il Front National di Marine Le Pen, che poneva in termini più radicali la sua protesta anti europea.
La Germania non ha saputo cogliere un’occasione irripetibile, dimostrando coraggio, generosità, visione, tutte doti che nella storia le sono sempre mancate. Ha dato invece prova di essere politicamente un motore diesel (di produzione Wolkswagen) non una Mercedes di formula uno, che avrebbe potuto assicurarle il ruolo di guida politica, oltre che economica e finanziaria dell’ UE.
La Gran Bretagna ha perso la tradizionale lungimiranza, non riuscendo a privilegiare la posizione strategica che nel futuro avrebbe potuto assumere, non solo in Europa ma nel mondo, finendo invece col far prevalere le pragmatiche ragioni dell’interesse nazionale. Si è accontentata, per questioni di equilibri politici interni, di giocare la partita del proprio ruolo continentale, affidandosi al miope ricatto dei vantaggi da conquistare in cambio di evitare la minaccia della Brexit. La politica estera di Cameron, incalzato dal suo rivale laburista Jeremy Corbyn, (feroce avversario del capitalismo, dell’UE, della BCE e pronto persino a chiedere l’uscita del Regno Unito dalla NATO) per conseguenza si è rivelata del tutto miope. Purtroppo, rispetto ad alcuni vantaggi immediati sul piano economico, egli sta esponendo il suo Paese al rischio della disintegrazione e della perdita di ogni ruolo internazionale.
Infatti, in un rinnovato clima d’incertezza, il partito Nazionalista Scozzese, incoraggiato dal pieno di seggi registrato alle ultime elezioni politiche, potrebbe chiedere un altro referendum, questa volta destinato al successo ed, in tale contesto, l’Irlanda del Nord ed il Galles potrebbero, dopo, pretendere altrettanto. Il Regno Unito, con la divisione, si ridurrebbe ala Piccola Bretagna, una modesta isola condannata a non contare più nulla.
Il Governo italiano, capace soltanto di presentarsi a Bruxelles ed a Berlino in ginocchio e con la mano stesa, non si è dimostrato capace di darsi un profilo internazionale, nonostante la pretesa di occupare con un proprio esponente il ruolo di Alto rappresentante per la politica estera europea, ma scegliendo di affidarlo ad una giovane ragazza timida, incapace e priva di ogni statura ed esperienza. Se tale delicata posizione fosse stata assegnata alla Boschi, col temperamento combattivo rivelato quale Ministro delle Riforme, forse avrebbe saputo dimostrare almeno un minimo di improntitudine e qualcuno si sarebbe accorto della sua esistenza attorno ai tavoli dove si assumono le più importanti decisioni europee.
Di fronte al grave pericolo terroristico, ha avuto facile gioco il revanscismo russo di Zar Putin, che ha impunemente invaso e diviso l’Ucraina e cerca di affamarla, minaccia la Turchia, (anche se la doppiezza di quest’ultima finisce col giustificarlo) combatte in Siria al fianco del macellaio Bashar Al Assad e non contro il comune nemico dell’ISIS. Ciò rende insicura come non mai l’intera Europa.
Con questo clima negativo si chiude un annus terribilis. Mentre nessuno si aspetta un 2016 migliore, l’ottimismo della speranza sorregge noi utopisti liberali che, dopo il buio crepuscolare che ha fatto vacillare i nostri ideali, ci potremmo permettere di sperare in un’alba di ritrovato orgoglio europeo unitario, che restituisca vigore ai valori della più antica civiltà del mondo.
L’ambizioso obiettivo dovrebbe essere quello di rilanciare il sogno visionario di Altiero Spinelli, che i coraggiosi padri dell’Unione seppero tradurre nei Trattati di Roma nel 1953, avviando il difficile processo di integrazione, destinato a costituire gli Stati Uniti d’Europa; obiettivo che è stato mancato tra timidezze, egoismi, disinteresse per l’ambizioso traguardo di poter diventare lo Stato federale più forte del mondo, mentre, di fronte ai grandi problemi di oggi ed al venir meno del sostegno popolare, rischia di veder crollare anche quel tanto o quel poco di positivo che in mezzo secolo è stato realizzato.
Di fronte al concreto pericolo del dissolvimento, alzare lo sguardo al di sopra dell’egoismo del proprio giardino, potrebbe diventare l’obiettivo politico alto dei liberali per il nuovo anno.
