johnwilkes

Il 19 gennaio 1764 accadde un fatto increscioso poco noto ai più: John Wilkes, straordinario politico liberale, strenuo difensore della libertà di stampa e propugnatore della limitazione del potere pubblico, venne espulso dalla Camera dei Comuni.

Si trattò dell’ennesimo atto antidemocratico di cui il londinese fu vittima, ritenuto colpevole di aver criticato, con il coraggio e la forza degli uomini liberi, un discorso tenuto da re Giorgio III, della dinastia degli Hannover, sulle “fortune”, che tali non furono per la Gran Bretagna, del Trattato di pace del 1763, firmato a Parigi per porre fine alla Guerra dei Sette anni; una guerra talmente cruenta da essere ritenuta da Winston Churchill come la prima vera guerra mondiale.

Il discorso del re venne in realtà redatto dall’allora primo ministro John Stuart, politico conservatore, il quale, a seguito dell’articolo di Wilkes, pubblicato sul settimanale satirico North Briton, dovette dimettersi, lasciando il posto a George Grenville. Quest’ultimo, nonostante facesse parte del partito Whig, non era evidentemente avvezzo alla libertà di espressione e scatenò un’autentica persecuzione verso l’autore.

John Wilkes venne imprigionato nella Torre di Londra e i propri diritti vennero ripetutamente violati. La sua abitazione fu perquisita e l’avervi trovato un libello a dir poco audace, da lui intitolato Saggio sulla donna, diede il destro a quanti aspettassero l’occasione buona per cacciarlo dai nobili scranni parlamentari, sebbene quel famoso 19 gennaio il londinese fosse all’estero.

Ciò che accadde dopo fu un susseguirsi di azioni contro la sua persona e la sua politica, culminati con ulteriori arresti e con dichiarazioni di illegittimità dell’elezione al seggio che “il diabolico Wilkes” (parole di Giorgio III) riuscì a ottenere, grazie al seguito popolare goduto per le sue continue lotte a favore della libertà d’espressione.

La vita di questo grande politico andrebbe riletta, anche per apprezzarne il lieto fine: la vittoria della libertà di stampa e del diritto di voto contro i soprusi di chi è al Governo e che, anche con mezzi apparentemente leciti, si ingegna per imbavagliare le voci discordi.

 

Il fatto storico, benché avvenuto in un’epoca in cui ancora si stava plasmando lo Stato di diritto, rappresenta una lezione da considerarsi attuale perché di quel modo di intendersi il potere ne sono protagonisti anche i nostri governi. Screditare l’oppositore, pur mantenendosi nei muri, a volte opprimenti, eretti dalle leggi, è uno sport di cui ancora oggi sono vittime i vari John Wilkes.

Stefano de Luca, in un articolo pubblicato su questo giornale, descrivendo la situazione italiana in cui viviamo, ha parlato di “tendenze verso forme di esaltazione del qualunquismo e dell’autoritarismo personalistico” come “frutto avvelenato della desertificazione culturale prodotta dal tentativo di imporre il pensiero unico”. Un tentativo che sta evidentemente portando a dei risultati, anche perché favorito da un atteggiamento, quello popolare, profondamente diverso da quello britannico all’epoca di Wilkes. Egli, i fatti lo dimostrano, potette vincere la sua lunga lotta contro il governo, perché il popolo lo seguiva e lo difendeva.

I cittadini inglesi, quando John Wilkes venne condannato e fu dato ordine di bruciare una copia del suo scandaloso Saggio sulla donna, impedirono che venisse compiuto quel gesto simbolico così volgare, di cui l’esempio più evidente nella storia furono i bücherverbrennungen nazisti, e non solo perché il politico era molto amato. Chi lo aveva accusato, tale John Montagu, era noto per le abitudini licenziose, tali da non consentirgli, secondo l’avveduto popolo londinese, di assurgere a moralizzatore.

Ricordando quanto accadde all’epoca, con particolare riguardo a quel 19 gennaio del 1764, ci si domanda, allora, se il popolo italiano, oggi, avrebbe la stessa attenzione, come lo stesso coraggio, di reagire a favore degli ormai pochi difensori della libertà. Abbeverati dall’ambrosia di una tv sempre più limitata a descrivere la preparazione di un piatto culinario o a raccontare le abitudini sessuali degli abitanti di una casa circondata da telecamere, i cittadini sembrano sempre più assuefatti ai giochi degli dei dell’Olimpo politico e sempre meno attenti a determinate azioni volte a isolare la voce fuori dal coro. Cosa aspettarsi, allora, da una popolazione la cui metà non legge neanche un libro all’anno e che non si accorge dell’isolamento nella “Torre di Londra” a cui è condannato chi non la pensa come i detentori del potere?

Probabilmente, se John Wilkes fosse stato italiano e fosse vissuto nella nostra epoca, non avrebbe vinto la sua battaglia e non gli verrebbe neanche tributata una statua come quella eretta nella centralissima Fetter Lane, a Londra. Oggi il simbolo di libertà sta nel sapere utilizzare lo scalogno come ingrediente, cosa indubbiamente apprezzabile ma che sarebbe più gradevole in un contesto diverso dal “panorama desolante”, per utilizzare sempre le parole di Stefano de Luca, dell’Italia di oggi.

 

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