La cancellazione della memoria è quanto di più dannoso possano fare gli esseri umani. Ricordare significa, soprattutto, impegnarsi alla conservazione, alla valorizzazione e allo sviluppo consapevole dell’edificio dove alberga la civiltà umana. E significa favorire la “costruzione” della libera e informata coscienza critica su cui si deve fondare la cittadinanza attiva.
Appartengo alla scuola di pensiero che difende, senza indulgenze, la conservazione della memoria, anche quella digitale, per molti motivi, non ultimo per mettere a disposizione delle giovani generazioni la piena conoscenza dello svolgersi delle vicende umane.
In Italia ci sono situazioni che suscitano preoccupazione: analfabetismo di ritorno, cioè molti cittadini che hanno difficoltà a comprendere un testo scritto; sconvolgimento del sistema scolastico che si era sviluppato dall’unità d’Italia in poi e, in special modo, durante la seconda metà del secolo scorso; scarsa attenzione all’educazione civica; scarsa conoscenza della Carta costituzionale nata meno di 70 anni fa; discredito delle istituzioni preposte alla cura degli interessi generali del Paese e del bene comune; discredito dei partiti che tendono a realizzare una loro immedesimazione organica nelle stesse istituzioni.
In siffatto contesto esiste un forte divario tra l’alto livello della tecnologia in uso nella società e la preoccupante regressione populista che propende per il ritorno al medioevo e al feudo (o al notabilato) con l’uomo solo al comando, in spregio ai principi e ai valori della liberal-democrazia.
La memoria ci può illuminare e ci può guidare per affrontare le sfide del presente e del futuro. Stiamo attraversando brutti tempi. E ci sono segnali di un un nuovo imbarbarimento che rende ciechi e sordi moltissimi esseri umani.
Il 27 gennaio di ogni anno avviene la commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Lo ha stabilito la risoluzione 60/7 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005. È stato scelto di ricordare il giorno del 1945 in cui avvenne la liberazione dei prigionieri rinchiusi nel campo di concentramento di Auschwitz.
La ricorrenza del 27 gennaio non deve essere un rito. Deve essere l’occasione per riflettere, per ricordare e per riproporre gli interrogativi sul perché possano avvenire certe ricorrenti tragedie nella storia dell’umanità. Vorrei ricordare, in proposito, gli interrogativi posti da Elio Vittorini sulla inefficacia della cultura consolatoria che puntualmente entra in campo, senza costrutto, all’indomani di tragedie e di guerre atroci. Aiuta molto a riflettere il libro di Hannah Arendt, “La banalità del male”, che fa comprendere come l’assenza di memoria possa essere alla base della trasformazione di esseri umani “normali” in agenti del male.
