Ci risiamo. Torna sempre la stessa arroganza nel tentare d’imporre da parte del mondo cattolico le proprie visioni etiche. Negli anni settanta si trattava dell’indissolubilità del matrimonio, negli anni ottanta del divieto d’interrompere maternità indesiderate, vent’anni fa fu fatta prevalere una incostituzionale visione di parte in materia di procreazione assistita, oggi si cerca d’impedire che vengano autorizzate le adozioni gay e le pratiche di cosiddetto utero in affitto, fingendo di accettare ma in realtà subendo, l’indiscutibile diritto alle unioni di fatto, etero ed omosessuali.
Nei giorni scorsi qualcuno si è chiesto come si sarebbe dovuta chiamare l’adozione di Gesù da parte di Giuseppe, caso classico di Stepchild adoption, ancorché nell’ambito di una coppia di fatto eterosessuale, trattandosi del figlio di uno solo dei due coniugi. Vivevano essi nel peccato? A parte le questioni connesse alla divinità attribuita alla figura di Cristo nel campo religioso, che come laico non mi riguardano, sul piano storico, mi piace pensare che la stessa Chiesa ha fatto santo Giuseppe per il grade atto di amore verso il figlio della sua compagna.
Tutta la polemica, che colloca l’Italia tra i Paesi più arretrati d’Europa e del mondo in materia di riconoscimenti dei diritti delle minoranze e dei diversi, nonostante le recenti aperture del Papa, discende dalla apodittica convinzione della dottrina tradizionale della Chiesa che ogni altro rapporto che non sia il matrimonio religioso consacrato dalla gerarchia ecclesiastica, sia peccaminoso. Se si tratta di persone dello stesso sesso, andrebbe considerato come deviazione, o malattia, salvo tollerare che la omosessualità e persino la pedofilia, possano essere largamente praticate nei conventi, nelle parrocchie e nelle comunità religiose, con la copertura di un omertoso silenzio.
Il mondo cattolico tende sempre a far coincidere il reato con il peccato, cercando di imporre la propria visione morale anche a coloro che ne hanno un’altra molto differente, che dovrebbe essere considerata altrettanto rispettabile. Tale violenza viola ogni più elementare regola di tolleranza verso le visioni etiche e culturali altrui e costituisce una inammissibile interferenza nelle questioni affettive, limitandone, persino nel privato, la libertà.
Il dibattito che si sta svolgendo al Senato ha un sapore surreale, perché trascura il fondamentale principio democratico secondo cui lo Stato laico dovrebbe interferire quanto meno possibile nelle scelte dei singoli, nella esplicazione dei loro orientamenti, nella libertà di organizzare la vita privata ed affettiva come meglio credono. Soltanto se si tratta di materie che abbiano un’implicazione di carattere generale, con ricadute tali che possano condizionare l’uguale diritto di libertà degli altri individui, si può eccezionalmente legiferare, tenendo conto che ogni norma, perché generale ed astratta, deve riguardare tutti, credenti di ogni religione e non credenti. Perché allora interferire così pesantemente in una delicatissima sfera privata, imponendo quello che si può o non si può fare, secondo una regola che potrebbe trovare, e magari trova, il consenso dei più, ma su cui altri liberamente hanno il diritto di dissentire? Donare il proprio utero o il proprio seme per la felicità di una coppia sterile non è equivalente a donare un organo per salvare una vita? Ritorna sempre la medesima ipocrisia di tutte le religioni monoteiste, che ritengono di possedere la verità e di poterla imporre attraverso la brutale sopraffazione di una convinzione religiosa, che si fa legge. La violenza sulle donne per imporre la scharjia, con tutte le conseguenze che, come occidentali, ci fanno inorridire, non differisce dall’intolleranza cattolica, che ritiene di poter far prevalere la propria morale per via legislativa. Non riesco francamente a capire perché, come ieri per la fecondazione eterologa, oggi per la gravidanza nell’utero di un’altra donna (magari la madre o la sorella disponibili solo per un atto d’amore e non una donna indigente che lo fa per denaro) debba essere vietata e persino diventare reato. Tali limitazioni alla libertà di ciascuno sono una inammissibile violenza.
Altra questione è la valutazione, nell’interesse del minore, se una determinata persona fisica, di qualunque sesso od orientamento sessuale, per la sua personalità, il suo equilibrio, o soltanto le circostanze specifiche, sia o meno in grado di poter adottare un minore. Il saggio intervento nel merito, senza porre preventivi divieti di alcun genere, di un magistrato specializzato (il Tribunale dei diritti familiari di cui si parla) può essere essenziale per autorizzare qualsiasi adozione, rendendo più facile, rapida ed agevole la attuale complessa procedura. Una società dotata di sensibilità dovrebbe dare pronte risposte alla generosa richiesta di adottare un figlio, fondata su un grande slancio d’amore di tanta gente, che invece è costretta a penare, lasciando in abbandono o negli orfanotrofi (che troppo spesso somigliano ai lager) minori che potrebbero conoscere la felicità del calore di una famiglia.
Una diffusa disaffezione verso lo Stato, causata da una cattiva politica ormai da tempo dominante, ha prodotto un senso di rassegnazione, oltre che di sfiducia, nella maggioranza degli italiani, che si sentono sempre più sudditi cui vengono imposti doveri, anziché liberi cittadini titolari di diritti. Si sta invertendo esattamente la concezione liberale secondo cui tutto è lecito tranne le pochissime azioni vietate, perché interferiscono nella libertà degli altri.
