La storia di Roma è talmente ricca di fatti che sembra impossibile stilarne una classifica sulla base della cadenza mensile degli accadimenti.
Eppure, per i liberali, in particolar modo per quelli romani, un mese potrebbe assumere un significato simbolico, laico, di libertà: Febbraio.
Durante il secondo mese del calendario accaddero nell’Urbe due fatti, l’uno drammatico e l’altro straordinario, da cui si dovrebbe attinge continuamente come ispirazione per le battaglie a favore delle libertà degli individui.
Da un lato, il 17 febbraio del 1600, quando il grande filosofo Giordano Bruno, dopo aver subito terribili torture e umiliazioni, venne arso vivo, a Campo de’ Fiori, nel pieno centro di Roma.
Come avuto già modo di scrivere su queste pagine, quella morte atroce mostrò, ancora una volta, il lato peggiore della Chiesa, lontanissima nei comportamenti da quei precetti stessi che il padre nobile del Liberalismo, John Locke, sottolineò nel suo capolavoro “Lettera sulla tolleranza”: “La tolleranza di quelli che hanno opinioni religiose diverse è così consona al Vangelo e alla ragione, che sembra mostruoso che gli uomini siano ciechi in una luce così chiara”.
Evidentemente di cecità soffrì papa Clemente VIII, il cui cesaropapismo non si confaceva con lo spirito evangelico del rispetto dell’opinione altrui. La vergogna dell’aver causato l’ingiusto martirio del pensatore nolano avrebbe lasciato ai posteri l’immagine di un pontefice sanguinario e violento, incapace di mostrarsi indulgente, per mero opportunismo politico, persino quando gli venne chiesta clemenza a favore della povera Beatrice Cenci, dall’Aldobrandini condannata alla decapitazione.
La morte di Giordano Bruno divenne presto simbolo della lotta per la libertà contro ogni tirannia, così come il suo coraggio mostrato di fronte agli inquisitori, quando pronunciò le famose parole: “Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla”.
Proprio nella piazza dove venne arso vivo, fu eretto nel 1889 un bellissimo monumento, opera dello scultore romano Ettore Ferrari. La statua fu da subito amata dal popolo romano al punto che ogni tentativo profuso, prima da papa Leone XIII, per impedirne la realizzazione, poi dai fascisti, per abbatterla, risultò vano.
Dunque, da un lato il giorno del 17 febbraio a significare che, pur violando la sacralità del corpo attraverso la violenza, l’oppressore non riesce nel suo intento, perché le idee di libertà sono tramandate ai posteri, divenendone il corroborante nutrimento per l’azione liberale.
Dall’altro, il 9 febbraio, giorno della nascita della Repubblica Romana. Gli ideali liberali e mazziniani, congiuntamente, ispirarono i moti del 1848 e portarono alla nascita di questa repubblica che, per quanto di breve durata, fu di notevole influenza e incoraggiamento durante il Risorgimento e per l’Unità d’Italia.
Il 5 febbraio 1849 venne istituita l’Assemblea Costituente e la Repubblica Romana fu ufficialmente costituita il 9 febbraio 1849. Durò appena 5 mesi. Troppo poco, ma giusto in tempo per far respirare al popolo capitolino lo spirito di libertà negato da secoli e per la stesura della Costituzione unanimemente riconosciuta come la più evoluta a quel tempo.
Giuseppe Monsagrati, nel suo libro “Roma senza il Papa – La Repubblica romana del 1849”, edito da Laterza, sottolinea che, in quell’anno, si realizzò un sistema di governo autenticamente liberale e solo tale poteva essere, visto che vennero incastonate, nella pietra costituzionale, le gemme dell’inviolabilità della proprietà privata, della rimozione di ogni privilegio e discriminazione, della laicità dello stato, della certezza del diritto. Concetti inderogabili e persino più forti rispetto a quelli sanciti dalla stessa Costituzione italiana del 1947, che oggi qualcuno vorrebbe riformare non per attribuirne ulteriore valenza liberale, ma per piegarne il delicato equilibrio di “pesi, contrappesi e controlli, cioè in termini plurali”, come scritto da Antonio Pileggi nell’articolo “Lo spirito costituente della riforma Renzi-Boschi. L’esempio di Benedetto Croce”.
Le figure di spicco che parteciparono a quel momento felice, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Goffredo Mameli, Aurelio Saffi, Carlo Armellini, Pasquale de’ Rossi, furono le guide di un’autentica rivoluzione popolare che portò alla cacciata di papa Pio IX. Non a caso, dal popolo veniva colui che viene considerato il vero simbolo dell’eroismo della Repubblica Romana: l’oste Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio. Il suo monumento svetta sul luogo risorgimentale per eccellenza nella Capitale, il Gianicolo, in mezzo al percorso che dalla statua equestre di Garibaldi conduce a Porta San Pancrazio, la porta distrutta dall’esercito francese per restituire la città al papato, successivamente ricostruita dall’architetto di papa Pio IX, Virgilio Vespignani, e oggi sede del Museo della Repubblica Romana.
Ciceruacchio come Giordano Bruno, due eroi della libertà ridotti in silenzio per mano del boia della tirannide. Brunetti, infatti, venne fucilato dagli austriaci, insieme al figlio tredicenne, lontano dalla sua Roma che avrebbe voluto libera e democratica.
9 e 17 febbraio, dunque, due date a cui i liberali romani del ventunesimo secolo attribuiscono un significato profondo. In secoli diversi, ma nello stesso mese, accaddero nell’Urbe due eventi che avrebbero segnato la storia non solo della città, ma del mondo occidentale.
Ecco perché Febbraio, periodo di purificazione nell’antica Roma, meriterebbe di diventare, anche con celebrazioni nella Capitale e non solo, il Mese della Libertà, affinché sia costantemente alimentata la memoria del martirio di Giordano Bruno, quale vittoria nel tempo della libertà di pensiero sulla tracotanza del potere. E affinché rimangano impressi i principi della Costituzione della Repubblica Romana, quali “la sovranità è per diritto eterno nel popolo” e “le persone e le proprietà sono inviolabili”, da non considerare scontati, visto quanto sta accadendo oggi.
