image

Il PLI apre con il seguente articolo un dibattito sul delicato tema dell’uso delle armi per la difesa personale e del proprio patrimonio, nonché sul cattivo funzionamento della giustizia in materia.
Il massiccio interesse con il quale alcuni massmedia espressione del centro-destra stanno affrontando vicende di cronaca legate ad aggressioni e rapine, dedicando attenzione quasi morbosa alle dinamiche collegate all’uso delle armi nella reazione delle vittime, fa presupporre come “legittima difesa” & uso delle armi sará una delle questioni abusate dalla prossima campagna elettorale.
Malauguratamente, la questione viene affrontata con pressapochismo, in modo fazioso e populista dai vari fomentatori, in cerca di facile consenso, per puntare a sfruttare l’emotivitá che questo tema risveglia nell’opinione pubblica.
Seppur apparentemente paradossale, quindi, quanto sta facendo oggi una certa propaganda politica, della quale i suddetti massmedia sono megafono, é dipingere e sbandierare come presunti diritti azioni e comportamenti che, in realtà, possono, allo stato attuale e senza modifiche della Legge, prefigurare reati, in alcuni casi gravi. Ció creando confusione e mettendo a rischio i cittadini qualora gli stessi dovessero fidarsi di questi politici irresponsabili.
Fondamentale, per approcciare correttamente la questione, é sgombrare il campo dall’equivoco per il quale “legittima difesa” sia una sorta di bonus a prescindere, rivendicabile a totale ed interpretabile vantaggio esclusivamente per colui il quale subisca un atto più o meno ostile o violento.
La difesa personale non è un tema che può essere svilito a dettaglio politico; per inquadrarlo in maniera opportuna va ben inteso, al contrario, come sia un principio disciplinato, in modo chiaro ed inequivocabile, dalla Legge tramite l’articolo 52 del Codice Penale del quale “legittima difesa” é appunto sintesi ed espressione comune.
Per entrare nel merito della questione bisogna iniziare dai due criteri che rendono legittima la reazione, quindi la difesa, ad un pericolo derivante da un atto di offesa che sia ingiustamente ricevuto.
Questi due criteri sono fondamentali da comprendere in quanto, ragionando in un’ottica giurisprudenziale, opportuni, adeguata garanzia per le parti coinvolte ed espressione di equilibrato buon senso.
Il primo criterio prevede la natura “attuale” del pericolo; ovvero che la reazione, quindi il nostro atto di difesa, sia un atto necessario e contestuale al pericolo al quale la minaccia ricevuta ci espone.
L’azione costituita dalla nostra reazione, semplificando, deve essere contestuale, contemporanea all’atto di offesa ricevuto.
Se la minaccia termina non importa quanto é durata o quanto é stata grave. É terminata, punto.
Non é difendibile dall’accusa di omicidio volontario, giusto per fare un esempio, una persona la quale rincorra sparando, o solo spari, sfortunatamente per lei uccidendolo, ad un ladro o ad un aggressore che, seppur armati, siano in fuga; circostanza a seguito della quale la minaccia non é piú “attuale”.
Il secondo criterio prevede la circostanza per la quale la reazione sia “proporzionata” all’offesa ricevuta. Ció ad intendere adeguatezza, quindi proporzionalità, tra le modalità e le conseguenze alle quali l’azione costituita dalla nostra reazione può portare ed il pericolo derivante dall’offesa ricevuta.
Limitandoci ad un esempio, porta a guai per noi, tanti o pochi guai a seconda delle circostanze e delle conseguenze, sparare ad un ladro disarmato.
Tutto quanto abbia caratteristiche diverse dai sopra citati criteri, di conseguenza, non è “legittima difesa”. Il confine tra la possibilitá di appellarsi a questo principio ed un mare di guai é chiaro e netto; é la conoscenza approssimativa della Legge la causa di problemi, non la Legge stessa.
In Italia, riferendoci alla questione dell’uso delle armi, va ben inteso, quindi, come conseguenza della legittima difesa sia che sparare non é “un diritto” in termini assoluti, ma uno strumento di tutela a determinate e ben definite condizioni. Non viviamo nel Far West, fortunatamente, ma in uno Stato di Diritto.
Un ultimo aspetto. Subire una reiterazione dei crimini, vedere violata piú volte casa propria non giustifica, solo per questo, l’uso delle armi: compete alle Forze dell’Ordine, non a cittadini improvvisatisi giustizieri, la repressione del crimine.
Il degrado, il malcostume o le scarcerazioni facili, quindi, non possono essere attenuanti o pretesto per rivendicare un diritto fai-da-te dell’uso delle armi.
In tali situazioni la questione da affrontare non è il diritto o meno di sparare, ma una Giustizia che non funziona in un contesto generale nel quale la certezza della pena, verso i malviventi ed a tutela del cittadino, non viene garantita dall’inadeguatezza e dalle mancanze del sistema Giustizia stesso.

508
CONDIVIDI