“I politici non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi. Rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto”. Questa frase di Piercamillo Davigo nell’intervista al Corriere della Sera è stata come una coltellata, anche se, drammaticamente, rappresenta la verità. Forse avrebbe dovuto riconoscere che, insieme ai suoi colleghi del pool di mani pulite ne porta un buona parte di responsabilità. Aver distrutto con la medesima brutalità una intera classe politica, che certamente insieme alle proprie colpe, indiscutibilmente, aveva anche competenza, esperienza, cultura, attaccamento ad alcuni valori, ha consentito che emergesse un sottoprodotto costituito da ignoranti, arrivisti, arroganti e ladri, senza ideali. Mentre ieri i partiti si finanziavano con le tangenti concordate in modo trasversale da tutto il sistema politico dell’epoca, nessuno escluso, oggi una politica priva di valori è diventata soltanto terreno per soddisfare le ambizioni più sfrenate e spesso più abiette, compreso l’arricchimento personale.
Se quindi, amaramente, non si può non ammettere che la terribile frase di Davigo è come una fotografia istantanea che riproduce la realtà di un nuovo ceto arrembante, assetato di potere e di denaro, bisogna pure riconoscere che il Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati avrebbe dovuto usare una forma espressiva più istituzionale, lasciando al M5S un linguaggio così crudo. Incurante del grave danno che l’intervento a gamba tesa della magistratura un ventennio fa, con lo stesso protagonista in prima linea, ha prodotto all’intero sistema, oggi, come rappresentante di vertice dell’organismo che riunisce tutta la magistratura italiana, invece del fioretto, ha scelto la scimitarra, forse l’atomica.
Se avesse usato Antonio Di Pietro, un simile linguaggio avrebbe potuto essere facilmente attribuito alla rozzezza del personaggio, mentre in bocca a Davigo rivela qualcosa di più inquietante della denuncia, ripeto realistica, di un fenomeno gravissimo, che non sfugge a nessuno. Indipendentemente dal dovere di prudenza, cui sarebbe tenuto il Presidente dell’ANM e giudice della Corte di Cassazione, la sua accusa non può non avere un’altra lettura, ancora più inquietante. Dimostra che si è palesemente aperto un nuovo terribile scontro di potere tra politica e magistratura, reso palese dalle intercettazioni della procura di Potenza date in pasto ad una stampa famelica, (su vicende private spesso non conferenti rispetto al reato contestato) e che hanno portato alle dimissioni un Ministro responsabile di un dicastero di primaria importanza. La risposta in Parlamento del Presidente del Consiglio, sopra le righe e palesemente di sfida ai magistrati, non ha certo migliorato il clima, anzi probabilmente ha accelerato la decisione di eleggere a capo dell’associazione dei giudici proprio Davigo, aprendo uno scontro, che si preannuncia senza esclusione di colpi.
In effetti ai rappresentanti del potere giudiziario non è sfuggito il tentativo, attraverso una riforma che sfigura la nostra Costituzione, di cancellare di fatto la separazione tra potere esecutivo a legislativo. Anzi è apparso subito chiaro che il prossimo obiettivo sarebbe stato quello di intaccare l’indipendenza della Magistratura, sfruttando anche il malcontento generale per una giustizia che non funziona, oltre che per l’eccessivo numero di leggi e la complessità delle procedure, anche per la pigrizia ed il cinismo di molti settori dell’Ordine giudiziario. Questa disperata condizione è evidenziata da una abissale differenza di produttività tra un Tribunale e l’altro, fino ad arrivare a poter parlare, in alcune aree del Paese, di denegata giustizia.
Il “partito dei giudici politicizzati“quindi ha di nuovo prevalso rispetto alle correnti più moderate ed ha cercato di giocare d’anticipo per azzoppare prima e successivamente stoppare il Governo. Questo succede sempre quando si forzano le regole del galateo istituzionale tra i poteri dello Stato, approfondendo conflitti come quello che da oltre un ventennio vede protagonista la cosiddetta magistratura militante e che, dall’altro lato, ha trovato nella spregiudicatezza di Matteo Renzi un avversario pronto a piegare tutti i poteri, compreso quello giurisdizionale, dopo che la riforma della Costituzione ha avviato le condizioni per sottomettere il Parlamento ed essendo riuscito ad arruolare i nove decimi del modo dell’informazione, cominciando col dominare la RAI intera.
Sono stato sempre dell’avviso che il peggiore Governo eletto democraticamente dal popolo è preferibile al miglior governo dei giudici. Tuttavia non vorrei trovarmi di fronte ad una tale alternativa. Il primo rimedio è quello di informare gli italiani per fare in modo che il referendum del prossimo autunno bocci la riforma costituzionale liberticida, voluta dalla banda toscana che si è appropriata del potere. Subito dopo è urgente andare a nuove elezioni, mettendo al primo punto nell’agenda della prossima legislatura un profondo intervento nel campo della politica giudiziaria. Bisogna riformare radicalmente la giustizia civile, assicurando una tutela solida ed immediata a chi ha una ragione da far valere, intervenire inoltre in profondità nel processo penale, (cominciando dal tema della libertà personale prima del giudizio, insieme alla certezza della esecuzione della pena, dopo la sentenza) e separare le carriere tra giudici e PM.
Il pur necessario aggiornamento della Costituzione non potrà avvenire in forza dell’art 138 in un Parlamento, che ha interessi contingenti, ma essere affidato ad un’Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale con sistema proporzionale puro, il cui risultato, successivamente, dovrà essere sottoposto a referendum confermativo da parte del corpo elettorale.
