La riforma costituzionale è per natura una scelta che deve andare al di là di qualsiasi programma politico di parte, perché attiene all’organizzazione del sistema statuale e deve poter durare nel tempo, prevedendo i necessari pesi e contrappesi. Per tale motivo ogni cambiamento, realizzato a norma dell’Art. 138, dovrebbe essere approvato non soltanto nella forma prevista delle due letture, ma anche col consenso di una vasta maggioranza parlamentare, possibilmente trasversale. Aver imposto da parte del governo in carica il voto di fiducia sulla legge elettorale collegata alla riforma, è stata una grave scorrettezza, oltre che una violazione del galateo istituzionale. Neppure Mussolini aveva osato tanto!
Secondo la concezione liberale, che deriva dall’illuminismo Francese, di Voltaire, Momtesquieu, Rousseau, Toqueville, le moderne Costituzioni nacquero col principale obiettivo di limitare il potere del Sovrano e diedero così vita allo Stato moderno. La riforma imposta dalla attuale maggioranza parlamentare in Italia viola i principi cardine del Costituzionalismo Liberale, che si estrinsecano nella separazione e bilanciamento dei poteri, stravolti invece da uno scoperto tentativo di accentramento nelle mani di un uomo solo al comando. Di fatto sono state cancellate di colpo le conquiste di trecento anni di pensiero liberale, al quale, a parole, tutti dicono di ispirarsi.
I sostenitori hanno fatto ricorso sovente a luoghi comuni, quale quello della necessità di un più spedito iter parlamentare. Nessuno tuttavia ritiene che questo sia il primo problema dell’Italia, mentre anzi assistiamo inermi al fenomeno di una elefantiasi legislativa incomprensibile, nonostante il bicameralismo paritario e la necessità della doppia lettura. Chi ha cercato di imporre questa bizzarra riforma, non ha sentito la necessità di istituire meccanismi che possano assicurare un rinnovato patto con il cittadino per superare l’insopportabile abisso che lo allontana da quella che dovrebbe essere la sua rappresentanza, ma che egli neppure conosce e che gli risulta ostile. Altro luogo comune pericolosissimo, che si è accompagnato alla pressante richiesta di riforma, è quello secondo cui si dovrebbe conoscere la sera stessa delle elezioni chi ne sia il vincitore. Tale obiettivo sarebbe assicurato dalla aberrante legge elettorale, chiamata Italicum, concepita in modo da poter assegnare la maggioranza assoluta nell’unica Camera, che concederà la fiducia e potrà legiferare, ad un solo partito dominante, anche se assolutamente minoritario nel risultato del primo turno, composto da fedelissimi nominati dal padrone del partito. Tale meccanismo concentrerebbe un potere quasi assoluto nelle mani del Premier, dando luogo a quella che la dottrina costituzionalista chiama la “dittatura della minoranza”. Colui che alla sera dei risultati elettorali, viene proclamato vincitore (anche se a capo di un partito di non più del 15-20%) sarà in grado di sottomettere tutti gli altri poteri, che verranno da lui dominati: il Parlamento, composto di deputati di sua completa obbedienza, la Corte Costituzionale in maggioranza nominata direttamente e, in parte minore, dal Presidente della Repubblica, tuttavia, a propria volta, eletto con le esclusive forze parlamentari del Premier. Vengono anche di fatto cancellati tutti i poteri della Magistratura per limitare gli abusi dell’Esecutivo, grazie al dominio di questo in seno al CSM. I magistrati d’assalto che avvieranno nuove inchieste verso il gruppo economico-politico che sostiene il Capo del Governo, facilmente saranno resi inoffensivi con trasferimenti mirati e con riforme profonde che ne limitino spazi di discrezionalità, autonomia e indipendenza.
Alla personalizzazione dell’esito referendario da parte del Premier con le annunciate dimissioni, in caso di esito negativo del Referendum, ha fatto seguito analoga dichiarazione della Ministra più importante dell’intero Gabinetto, Maria Elena Boschi, che va assumendo sempre più il ruolo di vera guida del gruppo toscano che domina il Gabinetto Renzi. La minaccia di tali dimissioni costituisce una forma insopportabile di ricatto morale, posto in essere sulla base della convinzione, molto diffusa che, allo stato, non si intravedono altre maggioranze politiche alternative. Il duo Renzi Boschi intende quindi condurre la campagna a favore del SI facendo affidamento sulla paura di un eventuale vuoto di potere in caso di sconfitta dell’attuale maggioranza nel voto referendario. Tale forma di pressione psicologica è ancora più odiosa del tentativo, anch’esso praticato, di definire tutti coloro che si oppongono quali conservatori, ascrivendo all’attuale Governo l’effimero merito che, dopo un trentennio di discussioni parlamentari, almeno quest’ultimo, ne ha approvata una. Tale affermazione non corrisponde al vero, perché nel 2006 anche il Governo Berlusconi aveva votato una riforma, altrettanto inaccettabile, che infatti i cittadini, in sede di referendum, non approvarono. La chiara manifestazione della volontà popolare ha dimostrato che la delicata materia della modifica della Legge Fondamentale non può essere improvvisata, ma deve corrispondere a precisi criteri democratici, graditi agli elettori. Essi non intendono rinunciare ai necessari equilibri tra gli organi costituzionali e principalmente alla tutela della libertà del popolo sovrano.
Un parlamento dichiarato incostituzionale nella sua composizione, non si è limitato a formulare dei correttivi, ma ha riproposto, aggravandole con l’Italicum, sostanzialmente le stesse censure di incostituzionalità della precedente legge definita porcellum, sanzionate dalla Corte Costituzionale.
La riforma Boschi-Renzi realizza in modo maldestro un Presidenzialismo non dichiarato, rispetto a quello esplicito del centro-destra del 2006, che almeno non si era nascosto e che tuttavia contrastammo duramente nel successivo referendum. La nostra tradizione di cultura parlamentarista ci porta a diffidare di ogni tentativo di superamento del bicameralismo, ma auspichiamo una sua profonda riforma, differenziando le competenze dei due rami del Parlamento e rafforzando al medesimo tempo il rapporto col popolo sovrano. Certamente ci vede ostili la pericolosa mediazione delle Regioni, troppo spesso fonti di burocrazia, sprechi e corruzione.
Il fronte variegato delle numerose voci contrarie, a parte qualche radicalismo iniziale dei conservatori che difendevano la anacronistica tesi della “Costituzione più bella del mondo”, non ha mai collegato la vicenda referendaria con quella della maggioranza di Governo che, anche in caso di vittoria del NO potrebbe continuare il proprio lavoro. In ogni caso, se per scelta convinta, ci auguriamo senza alcun intento di ricatto morale, Renzi, accompagnato dalla fidata Boschi, dovesse decidere di dare le dimissioni dopo un esito sfavorevole della consultazione referendaria, sappiamo di poter contare nella saggezza e nell’esperienza del capo dello Stato. Egli finirà per individuare un altro Premier ed un’altra maggioranza parlamentare, per evitare di trovarci in autunno senza legge di stabilità ed inadempienti rispetto ai nostri obblighi nei confronti dell’UE. Le successive elezioni, poi, esprimeranno certamente una stabile maggioranza parlamentare, dopo un confronto serio e serrato tra le forze politiche in campo, libere dal condizionamento artificioso della presunta unica maggioranza possibile.
La forza della democrazia è proprio che essa determina automaticamente la rigenerazione della politica, nell’esercizio della libera espressione della sovranità popolare, sovente riuscendo in momenti di grande difficoltà ad attrarre nuovi talenti, animati dal desiderio di perseguire più esaltanti traguardi nei quali i cittadini responsabili certamente si potranno riconoscere con ritrovato entusiasmo.
Per coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini liberi e preoccupati per i pericoli insiti nella riforma costituzionale e nella nuova legge elettorale, abbiamo dato vita ad un “Comitato per la difesa delle libertà. NO al peggio”, al quale ci attendiamo numerose adesioni.
