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I cicloni sovente sono conseguenza della violenza degli uomini sulla natura, la quale poi si ribella con la sua forza devastante. Analogamente lo sferzante vento di scirocco che attraversa l’Europa e ne condiziona le opinioni pubbliche, deriva dalla cattiva politica, dall’egoismo, dal tramonto delle idee e dei valori. Respingiamo l’opinione, diffusa in Italia,  (in modo a dir poco sprovveduto espressa da Mario Monti) secondo cui le decisioni difficili non possono essere affidate al voto democratico del popolo, che invece deve essere sempre titolare della sovranità. All’interno di tale filone di pensiero sostanzialmente autoritario si inserisce la riforma costituzionale, imposta dal Governo Renzi, che, preoccupato dalla Libertà di espressione popolare, tende a trasformare la democrazia in plebiscito e le elezioni in un rito formale che conferisca pieni poteri ad un uomo solo al comando.

La Gran Bretagna ci ha dato ancora una volta una grande lezione di democrazia, affidando ai cittadini la scelta se rimanere nell’UE o uscirne, pur nella consapevolezza del grande rischio che il referendum sottendeva.

La tempesta, che sospinge le opinioni pubbliche europee verso un’ondata di antipolitica prevalentemente distruttiva, nonostante la commozione per la  uccisione, nel clima arroventato della campagna elettorale, della giovane deputata Jo Cox, ha portato come una sorta di cupio dissolvi collettivo alla vittoria della Brexit. Cameron, confermandosi il leader europeo di maggiore statura, ha doverosamente tratto dal risultato la decisione logica di dare le dimissioni da Premier.

Ne deriveranno problemi per tutti, ma principalmente per il Regno Unito. Quasi certamente la Scozia, dove ha prevalso il NO, chiederà un nuovo referendum per l’indipendenza ed altrettanto farà l’Irlanda del Nord. La probabile conseguenza sarà che, alla fine della sua lunga permanenza sul trono, la Regina Elisabetta assisterà al dissolvimento del Regno Unito. Poco male. I guai peggiori saranno per l’economia del Paese, che dovrà scontare una forte svalutazione della sterlina ed una perdita importante del ruolo della borsa di Londra, inevitabilmente destinata a cedere il passo a Francoforte, maggiore piazza finanziaria del Vecchio Continente. In compenso si registrerà una contrazione del fenomeno di immigrazione, ma anche una flessione del tasso di crescita del PIL britannico.

L’Europa continentale rischia un effetto contagio, che potrebbe rafforzare il  vento, che già soffia impetuoso, di un qualunquismo rampante, nutrito da una, purtroppo motivata, ostilità nei confronti delle istituzioni europee, dominate da banche ed apparati burocratici. Le imminenti elezioni spagnole potrebbero registrare un ulteriore rafforzamento dei movimenti di protesta e sancire la assoluta ingovernabilità del Paese. A cominciare dalla Francia, potrebbero seguire fenomeni analoghi nel resto del Continente, dove rilevanti segnali si sono già manifestati in molte nazioni, compreso quanto è avvenuto in Italia, in occasione delle recenti elezioni amministrative nelle più importanti città.

La tradizione europeista liberale si iscrive nel solco delle idee premonitrici di Giuseppe Mazzini, riprese dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, politicamente realizzate da Gaetano Martino, prima nell’incontro di Messina e consacrate poi nel Trattato di Roma. La nostra delusione tuttavia   non riguarda soltanto la sconfitta del progetto federalista rispetto a quello confederale di Francia e Germania, ma principalmente deriva dalla miopia delle modalità di attuazione, che hanno allontanato i popoli dall’idea di Patria europea, privilegiando equilibri, spesso egoistici tra Stati, insieme ad interessi legati ad un sistema burocratico, finanziario e bancario opprimenti.

Se, imparando la lezione che deriva da quanto è avvenuto in Gran Bretagna, si vuole evitare il dissolvimento dell’Europa e la condanna dei suoi piccoli Stati nazionali alla marginalità assoluta, la risposta deve essere forte, chiara ed immediata. Vi sono veri leader? È il momento che si materializzino. Non è più il tempo delle piccole mediazioni, degli aggiustamenti, degli obiettivi di corto respiro. Per prima cosa l’UE deve rimettere mano ad un progetto di Costituzione, che, forse meno magniloquente e complicato di quello del 2005, rilanci le ragioni geopolitiche insieme ai valori di libertà, civiltà e solidarietà che, prima ancora di qualsiasi interesse economico e commerciale, impongono la ripresa del cammino interrotto.  Bisogna ripartire dai principi contenuti nel trattato di Roma, nel quale sono evidenziati gli elementi unificanti, che derivano tutti dalla cultura greca e romana, frenando invece  le inopportune tentazioni di ulteriore allargamento alla Russia o alla Turchia, che non appartengono alla nostra civiltà europea.

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