Per Virginia Raggi quella del primo settembre è stata, con una ventina di giorni di ritardo, la notte di San Lorenzo. Dal firmamento della sua squadra di governo capitolina son cadute cinque grosse stelle, dal capo di gabinetto, all’assessore al bilancio, fino ai vertici delle due già ingovernabili aziende municipali Atac ed Ama, ma, quel che è peggio, sembra che si sia aperta una grandissima polemica all’interno del suo movimento. Tutto questo era già scritto sin dal momento della scelta di un peso leggero, come sindaco di una città difficile come Roma, ma nessuno avrebbe potuto prevedere che una falla così grossa si sarebbe potuta aprire dopo poco più di due mesi dalla trionfale vittoria elettorale.
Il bello della democrazia è che il popolo, che ne ha il diritto, vota, sceglie ed il suo giudizio è inappellabile. Quello su cui s’imporrebbe una riflessione seria, per quanto difficile, è che, per converso, non tutti dovrebbero poter essere legittimati all’elettorato passivo, che dovrebbe essere rapportato all’importanza ed alle difficoltà che ciascun ruolo comporta, prevedendo qualifiche minime ben precise. Altrimenti ci si espone al rischio, come appunto nel caso della scelta del primo cittadino della capitale, di trovarsi di fronte ad una situazione assurda, analoga a quella di affidare una delicata operazione di cardio o di neuro chirurgia ad uno studente di primo anno di medicina o ad un analfabeta.
Il gioco democratico prevede, come è giusto, che chi ha governato male, (a Roma sia la destra che la sinistra) venga sconfitto è che l’opposizione possa vincere le elezioni, ma si imporrebbe il buon senso di indicare amministratori adeguati al compito difficile, che verrà loro affidato. Abbiamo subito capito che la Raggi, per la modesta esperienza e per la sua stessa personalità, era un peso troppo leggero per affrontare la bestia inferocita dell’amministrazione civica romana. Palesemente dimostrava di non avere lo spessore per competere con una ingovernabile burocrazia ed un esteso sistema di corruzione, difficile da estirpare, perché radicato da troppo tempo e connivente con l’apparato amministrativo, oltre che con la miriade di associazioni, cooperative, municipalizzate, società ed enti vari, che da sempre speculano sul denaro pubblico e sul malgoverno. Quello che sta avvenendo era stato quindi puntualmente previsto, mentre nessuno aveva messo in conto l’aggravante della esplosione del conflitto interno al M5S, che, dopo aver perduto un capo di polso come Casaleggio e dopo il passo laterale compiuto da Grillo, sta dimostrando di muoversi privo di una bussola, affidato a piccoli personaggi senza freno, in polemica tra loro e del tutto simili a quelli emersi negli altri partiti di plastica nati nella seconda Repubblica, con grande arroganza, ma privi di qualsiasi esperienza e conoscenza dei complessi meccanismi dell’apparato statale.
Tutto questo fa male, anzi malissimo alla democrazia, perché accrescerà il senso di delusione e di impotenza dei cittadini, che sempre più numerosi diserteranno le urne, ma farà invece il gioco del PD, unico partito strutturato e che, guidato da Renzi, sa usare con spregiudicatezza il potere. Per questo motivo le reazioni ai primi smottamenti all’interno della struttura capitolina, non hanno provocato grandi reazioni da parte del partito del Premier, il quale aspetta che il fallimento diventi ancora più clamoroso per poter dimostrare che i pentastellati non soltanto non sono in grado di amministrare la città di Roma, ma non possono credibilmente candidarsi al governo del Paese, continuando ad esprimere leader di cartapesta e dilettanti allo sbaraglio. Per quanto concerne le altre forze politiche (il cosiddetto centro destra) nel dibattito politico sono del tutto assenti, salvo che per le futili polemiche al proprio interno, tra una componente più radicale, talvolta attratta da simpatie lepeniste ed un’altra filogovernativa, che si propone l’obiettivo di ricostruire una componente centrista, di marca neo democristiana, pronta a correre, insieme ai Verdini ed agli Alfano, in accorso del Governo. Infatti, se Renzi vincesse la partita del referendum, sulla quale sta impegnando tutte le sue forze, la grande stampa di regime e una RAI totalmente asservita, avrebbe bisogno di una componente moderata che lo sottragga al ricatto quotidiano di una sinistra interna, ormai stanca ed abbattuta, ma che su alcuni terreni specifici, in collegamento con sindacati, associazioni territoriali e cooperative, non intende demordere.
Abbiamo sostenuto la Meloni alle elezioni romane. La scelta si è confermata giusta in considerazione del momento e delle condizioni in cui è stata effettuata. Oggi vorremmo sentire più forte la sua voce. Principalmente ci aspetteremmo che, in alternativa alle iniziative di un Sindaco balbettante, che non si ė neppure espresso sulla delicata questione delle Olimpiadi, proponesse le ricette liberali per Roma, che ha affermato di condividere, cominciando dalle privatizzazioni, dalla creazione di condizioni per la trasparenza e la concorrenza, dalla mobilitazione di adeguate risorse per le periferie in stato di sempre maggiore abbandono.
Per tale motivo il PLI si farà promotore al più presto di indire una giornata di confronto a tutto campo per il futuro della Capitale.
Stefano de Luca

Pare che il successo elettorale della Raggi sia dovuto in gran parte ai voti che le hanno dato i delusi del Centrodestra. Se è così,l’influenza del “patron” del Movimento 5 stelle conta poco. Sarebbe importante però cercare di capire,e far capire agli elettori,qual’era il pensiero politico del “guru”Casaleggio,e come la pensa il suo successore Davide. Sanno gli elettori,che cos’era ‘sta “decrescita felice”?Provino,questi elettori che votano per il “nuovo che avanza” a mettere a confronto le proposte di quei “guru” con le nostre ricette liberali!