I numeri e le percentuali dell’economia non osservata lasciano perplessi.

L’Istat ha fotografato in maniera chiara la realtà del Belpaese portando alla luce una situazione che persiste da decenni.

Questa consistente porzione di ricchezza prodotta in Italia ma ignota al fisco vale 211 miliardi di euro, pari al 13 per cento del prodotto interno lordo nazionale.

I dati riguardano il giro d’affari dell’economia sommersa e di quella derivante dalle attività illegali: l’ultima indagine è riferita all’anno 2014, ma il trend sembra essere ormai tracciato.

Numeri ovviamente in possesso anche dei vari organi istituzionali che per una molteplictà di ragioni tollerano la presenza così spinta dell’economia in nero.

Si tratta di liquidità che rientra nel circuito economico sotto forma di spesa da parte dei privati, oppure come forma di sostentamento per famiglie e piccole attività commerciali e imprenditoriali.

Ovvero la ricchezza prodotta e non tassata si trasforma in consumi aggiuntivi, altrimenti inesistenti.

Il reddito nascosto riguarda per poco più dell’ottanta per cento operatori economici regolarmente operanti che, al fine di sfuggire alle rapacità statali, incremanteno la propria ricchezza non fatturando oppure non regolarizzando la posizione dei lavoratori.

Aaspetti gravi e penalmente rilevanti che investono in particolare il settore del terziario e dei servizi (attività professionali, ristorazione, commercio, costruzioni) per un valore pari a quasi 195 miliardi di euro.

Invece, l’economia puramente illegale (spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo clandestino, contrabbando) è stata quantifiatca in circa diciassette miliardi di euro, pari all’un per cento del Pil nazionale.

Rispetto a questi numeri, che pochi altri Paesi “vantano” in Europa, sarebbe utile che venissero trovate forme e formule finalizzate alla soluzione del problema che ormai è patologico.

Non basta tassare e tartassare per ottenere i risultati sperati.

Quindi, posto che non esisotno ricette miracolose, quali le strade che potrebbero essere percorse nel tentativo di recuperare a tassazione la black economy?

Da un lato ridurre e armonizzare la pressione fiscale introducendo per almeno un decennio una tassa unica gravante sulle imprese e sulle persone fisiche calcolata in tre scaglioni (oltre ad una no tax area per i redditi minimi), ridurre le tasse sul lavoro dipendente e regolarizzare le attività illecite attualmente nelle mani della malavita organizzata.

Contestualmente andrebbe perseguita in maniera concreta l’evasione frutto della manifesta volontà dolosa di frodare lo Stato attraverso artifizi, raggiri e scorciatoie.

Alla base ci dovrebbe essere, però, una diversa visione della realtà figlia di una mutata volontà politica.

Le scelte in campo fiscale dovrebbero guardare a modelli diversi già esistenti altrove e in parte replicabili anche in Italia.

Se nulla viene fatto è perchè evidentemente il mantenimento dello status quo fa gioco a un sistema di connivenze diffuso a più livelli che alimenta la rottura del rapporto fiduciario tra cittadini e istituzioni.

Paradossalmente tasse ed evasione sono volti di una stessa medaglia che da un trentennio convivono grazie ad una sostanziale indifferenza della politica politicante.

“Io affermo che quando una Nazione tenta di tassare se stessa per raggiungere la prosperità è come se un uomo si mettesse in piedi dentro un secchio e cercasse di sollevarsi per il manico”  (Winston Churchill).

Condivisibile riflessione, ignorata però dai signori del vapore.

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