Dopo il Renzi della Leopolda, carico di speranze e di voglia di cambiamento, abbiamo conosciuto quello di Governo, cominciato certo non nel migliore dei modi con l’hastag #enricostaisereno e finito con la delusione delle mancate riforme, della distribuzione di mance elettorali e del tentativo, per fortuna sventato dagli italiani, di sfregiare la Costituzione.
Costretto a mantenere la promessa di dimettersi da Presidente del Consiglio, ha imposto il Governo clone di Paolo Gentiloni. Immediatamente dopo ha avviato senza ritegno il terzo atto, speriamo ultimo, di una “renziade” disastrosa, ancora incerto se, dopo aver consolidato il suo potere con le nomine di primavera nelle aziende di Stato, scegliere di andare direttamente ad elezioni per tornare alla guida dell’Esecutivo ed evitare il referendum sul Job act o se invece anticipare il Congresso del PD. In tale ultima ipotesi, in primo luogo regolerebbe i conti con un’opposizione boccheggiante, quindi si farebbe incoronare leader nuovamente. Subito dopo dichiarerebbe finita l’esperienza del Governo amico, coltivando l’illusione di vincere le nuove elezioni. Tale disegno dimostra che Renzi vuole trasformare il PD nel Partito personale della Leopolda, pensando di poter contare sul quaranta per cento ottenuto in sede di referendum nonché, eventualmente, sulla disponibilità di un sostegno da parte di Berlusconi, che, a propria volta, dopo essersi liberato dal gruppo dirigente di Forza Italia, potrebbe finire col far prevalere soltanto gl’interessi della Fininvest sotto attacco di Vivendi del suo ex amico Vincent Bollorè.
Il giovane guascone di Pontassieve dimostra di non aver studiato a fondo il “Principe” scritto dal suo grande conterraneo Machiavelli e si avvia al secondo tragico errore, pensando ad elezioni al più presto, intese come occasione di rivincita contro una maggioranza di cittadini, che non avrebbe capito la grande portata innovatrice del suo progetto riformatore.
Deve stare molto attento, perché gl’italiani, in preda alla rabbia ed alla disperazione per non essere stati governati ormai da troppi anni, vedono un futuro plumbeo determinato dall’enorme debito pubblico, dalla opprimente burocrazia, da un impoverimento culturale senza precedenti, da una pressione fiscale estorsiva e da una drammatica crisi economica ed occupazionale. Il popolo ha dimostrato di aver capito di fronte a quale baratro il baldanzoso ex Premier, con la sua sciagurata proposta di riforma costituzionale, ha tentato di portare la democrazia, pur faticosamente conquistata e non vuole rimettersi nelle sue mani.
Ovviamente il rischio è di consegnare il Paese al movimento Cinque Stelle, che si sta ponendo come unica vera alternativa di sistema. La risposta elettorale potrebbe in sostanza essere simile a quella data dai britannici con la Brexit o dagli americani, che hanno preferito il populismo di Donald Trump ad una vittoria dei poteri forti della finanza, alleati con Hillary Clinton, compagna di merende del nostro Matteo.
Purtroppo, contrariamente a quanto sarebbe logico, la voglia di autodistruzione della coalizione di centro-destra, che appare poco in grado di trovare un’impennata di orgoglio nazionale, un programma condivisibile ed una leadership credibile, fanno poco sperare che esso possa proporsi come alternativa coerente ed in grado di vincere, pur potendo accedere ad un ampio bacino elettorale, ancora di gran lunga maggioritario nel Paese.
Nonostante tale scenario non esaltante, i liberali intendono intestarsi un ruolo di elemento attivo di pressione programmatica, politica e culturale per risvegliare l’orgoglio della borghesia produttiva, del mondo del lavoro in genere, di un Mezzogiorno ferito e di una classe giovanile disperata. L’obiettivo deve essere quello di dare un connotato preciso ed un profilo più alto ad un’alleanza da rifondare tra i soggetti politici già appartenuti al centro destra, che potrebbe assumere la nuova qualificazione di coalizione liberal-riformatrice. In primo luogo il Paese, dopo una troppo lunga fase di leaderismo senza valori e senza ideali, dovrebbe riscoprire la Politica nella sua nobile accezione di luogo di elaborazione di idee, proposte e formazione di una classe dirigente, che oggi appare scomparsa o comunque smarrita. Bisogna ad ogni costo evitare di cedere alle tentazioni del miope egoismo, dell’opportunismo qualunquista, dell’attrazione fatale verso un populismo di seconda scelta.
Crocianamente il PLI intende darsi il ruolo di una sorta di prepartito con l’obiettivo di contribuire fattivamente a ricostruire una cultura di Governo, che nell’ultimo ventennio si è andata via via perdendo. Generosamente vuole mettere a disposizione le proprie idee per affrontare le più pressanti urgenze del Paese, secondo i valori identitari che sostengono il pensiero liberale. L’italia ha necessità assoluta di maggiore competitività, concorrenza, superamento della disastrosa esperienza dello Stato imprenditore, riduzione drastica del carico tributario e insieme di un grande investimento culturale, partendo da una scuola moderna e da un’università di alto profilo, fino alla qualificazione delle professioni ed alla valorizzazione dei beni culturali e della relativa fruizione. Chiunque si dimostrerà in grado di realizzare una simile “rivoluzione liberale”, meriterà il più leale sostegno.

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