L’inizio di ogni nuovo anno in genere è carico di speranze, o almeno di illusioni. Questo avvio del 2017 ha un sapore diverso, non soltanto per il sangue innocente che ogni giorno viene versato e spacca i nostri cuori. Purtroppo dobbiamo constatare un malessere profondo, che plasticamente risulta evidente in occasione del secondo anniversario della strage di Charlie Ebdo. Non possiamo non prendere atto che quello spirito che animò il mondo intero all’indomani di quei tragici fatti, si è affievolito, quasi dimenticato, peggio, come scartato dalla nostra memoria, per paura, rassegnazione, vigliaccheria. Così sarà per i morti di Istanbul, di Nizza, di Bruxelles, per quelli, che quasi non fanno più notizia, delle innumerevoli stragi ed attentati in Siria, in Iraq e nel resto del mondo islamico. Sosteniamo da tempo che le esplosioni terroristiche, come le guerre regionali, non sono altro che la febbre, mentre la malattia non è stata ancora diagnosticata ed è ben lontana dal trovare la sua cura.
Confucio, Buddha, Cristo, Maometto furono tutti profeti di cambiamento, grandi promotori di rivoluzioni, innanzi tutto culturali e sociali, usando percorsi e linguaggi religiosi più facilmente comprensibili alle grandi masse. Sovente tuttavia, soprattutto in Occidente, in nome di quei valori, spesso traditi, si produssero guerre sanguinose, generate da chi in loro nome perseguiva, come continua ancor oggi, soltanto disegni di potere.
L’Illuminismo, anch’esso a prezzo di guerre e rivoluzioni, si fece interprete della modernità, fondata sulla libertà e la forza del diritto. Quasi un cinquantennio di socialismo reale fece tremare il mondo libero, ma crollò da solo sulle proprie contraddizioni ideali e culturali. Tuttavia sulle sue stesse macerie ha prodotto quel senso tremendo di vuoto che avvertiamo da anni. Infatti la libertà, se non è minacciata, se non ha un avversario che, per il fatto stesso di esistere, ne rende importante la difesa, diventa come un fatto acquisito e si rischia di perdere il senso del suo altissimo valore.
La lotta politica è tale se viene indirizzata verso qualcosa di superiore, altrimenti scade al livello di scaramuccia. Chi ha avuto il privilegio di formarsi culturalmente nel secolo scorso, ha assistito allo scontro di visioni spesso contrapposte del mondo, del futuro, della vita stessa; ha potuto partecipare ad esaltanti utopie, alcune anche molto negative, che hanno dato vita a divisioni feroci tra culture diverse (liberalismo, socialismo, comunismo, cattolicesimo democratico, fascismo). Questi confronti si basavano su sogni, illusioni, idee, spesso inconciliabili, sulla organizzazione della società e sui suoi fini ultimi, ma davano motivo per credere in qualcosa.
Il nuovo millennio, pur con le sue straordinarie scoperte, con il suo esaltante progresso scientifico e tecnologico, non è riuscito a proporre altre utopie, altri traguardi, altri orizzonti. Il mondo intero sembra galleggiare come una nave in mezzo all’oceano senza vele e senza motore, in balia delle onde e della forza della natura. In questo deserto culturale, abbiamo assistito all’esplosione della barbarie fondamentalista, illiberale ed antioccidentale, mossa dall’invidia sociale, di cui approfitta il fanatismo religioso, avversario naturale del progresso e nemico della libertà.
È sintomatico come, di fronte alla caduta del valore utopistico del disegno europeo, il primo Paese a fuggire è stato il Regno Unito, patria del pragmatismo liberale. Rimane una labile idea di Europa pangermanica, di stampo egheliano, impersonata da una leader senza carisma come la Merkel, che non suscita alcuna emozione. L’Italia, orfana dell’egemonia culturale e politica del disegno cattocomunsta, che, senza neppure essere stato sconfitto sul campo, si è dissolto improvvisamente, vive da oltre un ventennio in una specie di vuoto ideale assoluto e rassegnato. La lotta politica, non potendo più svolgersi sul terreno dello scontro valoriale tra progetti di società contrapposti, si è adattata ad una quotidianità fatta di piccoli scontri miserabili, finalizzati al potere ed alla sua gestione. L’ambiziosa idea del primato della legge, che deriva dalla cultura dello Stato di diritto, è quindi scaduta ad un più modesto concetto di legalità, la quale evoca più la paura verso chi è chiamato ad amministrarla che il profondo e convinto rispetto che la legge imporrebbe. La visione politica, è stata sostituita da una generica vocazione verso i programmi, solo accattivanti per la raccolta del consenso, ma non corrispondenti ad una determinata concezione della vita e del futuro. Non appare sufficiente lo sforzo di renderli più attraenti attraverso la predicazione di un’idea salvifica di onestà, sovente priva di costrutto e comunque di qualunque credibile radice culturale, oltre che delle relative qualità in chi dovrebbe essere chiamato a realizzarli.
Dopo il fallimento del disegno autoritario renziano di occupazione dello Stato, del quale il popolo saggiamente ha diffidato, sconfiggendolo clamorosamente, ormai è chiaro a tutti che Grillo sarà il vincitore delle prossime elezioni, nonostante le intese che lo stesso Renzi ed il sopravvissuto Berlusconi potranno realizzare per tentare di impedirlo. Come a Roma, il voto sarà all’insegna del “cacciamo i partiti dal Palazzo, sosteniamo i dilettanti allo sbaraglio. Che importa se un Paese che non ci ha dato nulla e nel quale non crediamo più, dovesse finire il suo galleggiamento senza meta, sugli scogli”. C’è ancora qualcuno che evoca schemi del passato, come centro sinistra, centro destra, grande coalizione o altro. Il popolo inferocito si consegnerà all’antipolitica non avendo più nulla da perdere. I tanto evocati poteri forti non esistono più da tempo. Forse, come alle recenti elezioni americane, qualche cyberintrusione potrà influenzare, ma non sarà, come per la elezione di Trump, che un ulteriore spinta nella direzione che la grande massa ha già deciso di imboccare.
Non ci rimane quindi che un ruolo di testimonianza. Sappiamo che la forza della libertà è che essa, come un fiume carsico, (ce lo ha insegnato Croce) prima o poi riaffiora rigogliosa. Il nostro compito è quello di non spegnere la debole luce della speranza.

.. certo se si continua a parlare di testimonianza non andremo da nessuna parte, invece dobbiamo uscire allo scoperto e dire quello che vogliamo e dire come lo vogliamo aprendo il partito a giovani tutti e quelli che vogliono lavorare senza mettere ostacoli, e senza personalismi e senza remore personali in quanto ognuno conta uno. Quindi per quanto mi riguarda bisogna aprirsi e scendere sulla strada…