Grande è l’attesa per il responso della Corte Costituzionale sulla legge elettorale, ma il suo compito è quello di eliminare i molti elementi di incostituzionalità palesemente contenuti nel cosiddetto Italicum, non di fare una nuova legge. Tale ultima prerogativa compete esclusivamente al Parlamento. La Corte deve soltanto preoccuparsi di garantire che quanto rimane della legge elettorale, dopo le amputazioni necessarie a renderla compatibile con i principi costituzionali, sia auto applicabile, per evitare che si possa determinare un vuoto legislativo, onde poter garantire, in caso di scioglimento delle Camere, di procedere al loro immediato rinnovo. La Consulta può quindi operare esclusivamente attraverso tagli, non aggiungere o modificare una sola parola, perché in tal caso si trasformerebbe in organismo legislativo.
Una politica miope ed incolta, ha dimostrato di non saper guardare oltre il proprio interesse immediato e rimane ferma in attesa che la Corte risolva al suo posto la spinosa questione, confermandosi ancora una volta incapace di farsi interprete, come invece dovrebbe, di interessi generali. Nessuna delle forze politiche maggiori si è impegnata a proporre un sistema elettorale in grado di funzionare per il lungo periodo, come dovrebbe essere, mentre tutte si sono dedicate soltanto a declamazioni che corrispondono ai propri interessi del momento. Vi è quindi chi chiede ossessivamente elezioni anticipate con qualunque sistema, nel cieco intendimento di poter sfruttare un temporaneo vantaggio, che più avanti nel tempo potrebbe svanire, in considerazione della grande volubilità manifestata dall’elettorato negli ultimi anni. Altri soggetti propongo i sistemi elettorali più disparati e spesso astrusi, con l’intendimento palese di avvantaggiarsene. Nessuno compie lo sforzo di cercare soluzioni accettabili e condivisibili da tutti, corrispondenti al criterio della rappresentatività delle diverse tendenze politiche dei cittadini ed insieme a quello della governabilità, unici requisiti ai quali il corpo elettorale potrebbe essere sensibile.
Dove sono finite le forze politiche responsabili di un tempo, che sapevano ricercare la faticosa e difficile via del dialogo e del confronto e si rivelavano sempre in grado di trovare una sintesi che, in quanto scontentava un po’ tutti, rappresentava il meglio possibile? Nel biennio ’92/’94, si determinò una crisi istituzionale di proporzioni enormi, che produsse incursioni delle Procure, a volte benefiche, altre necessarie, ma sovente distruttive e superficiali, come l’esito finale di molti processi si è incaricato di dimostrare. Tuttavia una classe politica, ancora legata a forti valori fondanti e rappresentata da partiti con tradizioni e cultura istituzionale, seppe nel 1993 trovare una larga intesa per riformare la legge elettorale, come richiesto da più parti. Venne approvato il mattarellum, che porta il nome dell’attuale Capo dello Stato, il quale ne fu il relatore e, dimostrando grande pazienza, riuscì a prevenire ad una approvazione con largo consenso parlamentare.
Quello che venne dopo ha prodotto il deserto ideale e valoriale cui abbiamo purtroppo assistito impotenti nell’ultimo quarto di secolo, dal quale sono emersi populismi di segno diverso, incoronazioni di leader non sempre adeguatamente carismatici, deboli coalizioni in grado di vincere le elezioni ma non di governare. Una legge elettorale, che lo stesso autore aveva definita porcellum, imposta a maggioranza, è stata dichiarata incostituzionale, permettendo ad un furbastro di provincia di tentare di modificarla in peggio con la legge attualmente all’esame della Consulta, accoppiata ad una riforma costituzionale, che saggiamente il popolo ha bocciato a larga maggioranza, con la evidente conseguenza dello sfratto da Palazzo Chigi dell’autore del proditorio tentativo.
Dopo quasi due mesi il Parlamento non ha messo mano al doveroso impegno, ricordato nel messaggio di Capodanno dal Presidente della Repubblica, di legiferare per rendere compatibili i sistemi elettorali dei due rami del Parlamento al fine di garantire la governabilità. Il Presidente del Senato autorevolmente è intervenuto per richiamare le forze politiche alle proprie responsabilità, superando tatticismi ed egoismi deleteri. La Corte farà sentire la propria voce, probabilmente cercando, con gli strumenti di cui dispone, di colmare la palese incostituzionalità dell‘Italicum, valido solo per la Camera e di rendere direttamente applicabile quanto ne rimane, limitando le contraddizioni col sistema del Senato, che discende da un precedente intervento della stessa Corte in sede di dichiarazione di incostituzionalità della legge che ha eletto, quindi illegittimamente, l’attuale Parlamento.
Come si può avere il coraggio di lamentarsi della vocazione alla supplenza del potere giudiziario, quando, come in questo caso, da parte del mondo politico se ne invoca l’intervento per sottrarsi alle proprie responsabilità o quando, (lo registriamo ogni giorno) non c’è provvedimento legislativo in cui non si chieda la compartecipazione della Autorità Nazionale Anticorruzione di Raffaele Cantone, come se fosse una terza camera, o meglio un soggetto sovraordinato rispetto a Parlamento e Governo?
Se i cittadini elettori hanno perso ogni residuo brandello di fiducia, non possono che avere ragione. Purtroppo come mezzo per reagire hanno soltanto il voto, che, quando è usato soltanto come strumento di punizione verso una classe dirigente che si è dimostrata inadeguata, rischia di risultare un rimedio peggiore del male. Ammesso che peggio di quanto abbiamo visto possa esistere, ma malauguratamente temiamo di si.
