La Consulta ha parlato, correggendo gli errori di una politica arrogante, divenuta, dopo l’esito referendario, incerta e balbettante.

Quanto doveva essere cassato, perché palesemente incostituzionale, è stato eliminato.  Non era facile, semplicemente attraverso interventi soppressivi, rendere una legge complessa nel suo impianto e che conteneva molti aspetti criticabili, immediatamente applicabile. Su altre criticità da parte della Corte non era possibile intervenire, in quanto riguardano scelte politiche, condivisibili o meno, ma che non assumono un rilievo di incostituzionalità.

Rimane oggi il problema, posto con chiarezza dal Capo dello Stato, di intervenire per armonizzare la legge elettorale della Camera con quella del Senato, che, nella sua attuale formulazione, deriva da un intervento della Corte sulla precedente legge, dichiarata anch’essa incostituzionale nel 2014. Non sarebbe difficile. Basterebbe, ai fini della governabilità, prevedere il premio di maggioranza anche per il Senato e rendere uguali gli sbarramenti, anche se su base regionale, come prevede la Costituzione.

L’orientamento popolare è quello di por fine alla legislatura in corso al più presto e andrebbe assecondato, evitando di intervenire con modifiche profonde al testo di legge elettorale delle Camera, come deriva dalla Sentenza, per evitare di impantanarsi in discussioni dalla quali l’attuale Parlamento non appare in grado di venire a capo. Rimaniamo assolutamente contrari alla designazione dei capilista da parte dei partiti e quindi sottratti al voto popolare, anche se con la provvidenziale eliminazione del diritto di opzione in caso di elezione in più collegi. Il metodo, in tale ultimo caso, del sorteggio non appare il migliore, tuttavia elimina una grave distorsione. Rimaniamo fortemente critici rispetto alla constatazione che oltre un terzo dei deputati sanno nominati dai rispettivi partito di appartenenza.

Non rimane che augurarsi che la prossima legislatura sia effettivamente costituente e che si possa ridurre il numero dei parlamentari, differenziare largamente le competenze tra Camera e Senato, ma soprattutto modificare radicalmente l’impianto delle autonomie locali, con la riduzione delle Regioni a sette od otto ed il ridimensionamento dei loro poteri, la riduzione delle Province a 30/40, restituendo ai cittadini il diritto di eleggere i vertici politici e stabilendo un obbligo, secondo criteri obiettivi di accorpamento dei Comuni, che dagli attuali ottomila dovrebbero diventare non oltre tremila.

Il prossimo Parlamento ha la necessità assoluta di avere alcuni rappresentanti del mondo liberale, che, grazie alla cultura istituzionale di cui sono portatori, potrebbero contribuire ad una riforma che restituisca alla Carta fondamentale quei connotati che consentano di restituire alla nostra  la caratteristica di essere annoverata a pieno titolo tra le moderne Democrazie Liberali. Le disperse forze della diaspora liberale, insieme a quelle di tradizione cattolico liberale, socialista liberale

 

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