Quanto avviene in Italia quotidianamente dimostra che il problema della qualità della classe dirigente e del relativo metodo di selezione, è ormai divenuto il più rilevante, persino rispetto alle pur gravi difficoltà connesse all’economia ed alla finanza. Infatti esso, oltre alla inefficienza, interferisce anche sull’aspetto etico dell’intera società, come emerge dall’enorme quantità di scandali e di inchieste giudiziarie. L’affievolimento del principio di autorità, che ne è alla base, deriva dalla inadeguata selezione della rappresentanza politica, non meno che dallo scadimento complessivo della classe burocratica a tutti i livelli, compresi i vertici delle società pubbliche a carattere economico, a partire dalle grandi aziende fino a raggiungere la espressione più infima in quelle regionali e municipali.
Nel campo politico da troppo tempo la selezione avviene quasi esclusivamente attraverso il metodo della cooptazione da parte dei capi partito, essendo stato espropriato senza pudore tale diritto al popolo sovrano, in nome del presunto, anche se, talvolta, possibile pericolo di inquinamento del voto di preferenza. Quelli che sono stati presentati come rimedi, sovente hanno finito col peggiorare, suscitando la generale riprovazione. Le finte primarie senza garanzie, come la selezione attraverso algoritmi facilmente falsificabili sul web, hanno prodotto una rappresentanza costituita da amanti, famigli, segretarie compiacenti, camerieri, arrampicatori senza qualità né esperienze, e, talvolta, persino passanti casuali. La concentrazione nelle mani dei padroni dei principali partiti di un simile potere assoluto e senza controllo, oltre a determinare lo scadimento della qualità dei rappresentanti in Parlamento, si è rivelata pericolosa e sovente nefasta per quanto concerne le nomine di competenza governativa e le amministrazioni comunali e regionali, dando luogo alla definitiva perdita di autorevolezza dell’intero ceto politico e provocando una sorta di cieca, ancorché legittima, ribellione dei cittadini.
Pinocchio aveva cercato a proprio vantaggio di istituzionalizzare e rendere definitivo tale sistema, tentando d’imporre una riforma costituzionale liberticida, fortunatamente respinta dagli elettori, connessa ad una legge elettorale di chiaro stampo autoritario, spazzata via dalla Consulta. Il metodo di incontrollabili primarie, prive di garanzie, ha creato grandi problemi, per le vocazioni tribunizie che sovente discendono dalla presunta indicazione popolare. La procedura di selezione via web da parte del M5S, ne ha confermato soltanto la manovrabilità, resa evidente dalla miseria degli scontri interni, che sono la inevitabile conseguenza di aver offerto facili carriere a disoccupati, nuovi gruppi di ambiziosi, capaci manovratori. Il negativo risultato di tali metodi si è evidenziato nel paradosso dell’espulsione dal movimento del bravo sindaco Pizzarotti, geloso della propria autonomia, mentre si assiste quotidianamente alla copertura delle inefficienze e delle gravi anomalie dell’inadeguato gruppo dirigente romano, non solo rissoso e capace di colpi bassi, ma rivelatosi agevolmente manipolabile da parte di loschi figuri, professionisti della gestione del potere locale, in quanto padroni dei segreti burocratici e titolari di rapporti, spesso opachi, con i maggiori gruppi d’interesse.
Eppure, se c’è un punto di generale consenso tra tutti i partiti nella discussione sulla necessaria modifica della legge elettorale, è proprio quello della difesa dei nominati. Il confronto non verte quindi intorno alla ricerca di un metodo che assicuri una fedele rappresentanza popolare, il diritto di scelta dell’elettore, la qualità del metodo di selezione, ma la consistenza del premio di maggioranza da assegnare ad un singolo soggetto politico o ad una coalizione, la disputa sui capilista bloccati ed il numero di collegi nei quali questi ultimi possano essere candidati per aver assicurata l’elezione, nonché sul livello degli sbarramenti, volti ad eliminare forze minori, costringerle a rinunciare alla competizione, o imporre loro alleanze improprie o la necessità di ricorrere all’ospitalità in altre liste.
Il momentaneo rallentamento della pressione intorno alla richiesta di elezioni al più presto da parte del segretario del PD, non dipende dalla preoccupazione per la minacciata scissione nel Partito, che forse egli stesso auspica, ma soltanto dall’interesse, decisamente prevalente, di incassare le nomine nelle molte società pubbliche in scadenza, sulle quali sta esercitando un controllo ferreo la sottosegretaria Maria Elena Boschi, entrata nella compagine di Governo esclusivamente con questo scopo. Dopo che si sarà di nuovo impadronito di tali posizioni clientelari strategiche, il coraggioso giovanotto della provincia fiorentina rilancerà la richiesta di andare ad elezioni immediata per evitare che le varie correnti del PD possano avere il tempo di trovare l’intesa, ancora non matura, per farlo fuori. Per questo motivo il Parlamento dovrebbe evitare ulteriori ritardi nell’avviare la discussione intesa ad eliminare le maggiori difformità tra i due pezzi residuali, dopo le rispettive dichiarazioni d’incostituzionalità, delle leggi elettorali di Senato e Camera. Molto di più non ci si può aspettare, ma bisogna evitare di eleggere alla cieca un nuovo Parlamento, che, con due leggi diverse e non armonizzate, rischierebbe di essere assolutamente ingovernabile.
Un deficit qualitativo di classe dirigente di siffatta entità in tutto il comparto pubblico, ha reso impossibile la supplenza del settore privato, che pure in passato aveva assicurato la crescita del Paese. Un clima genericamente ostile all’iniziativa privata, alla concorrenza, al profitto, aggravato da una pressione fiscale e burocratica insopportabile, hanno prodotto un quasi inarrestabile processo di abbandono delle attività o di delocalizzazione, rendendo imprevedibile una rapida ripresa. Questa drammatica constatazione non rientra nelle preoccupazioni dei maggiori partiti, che stanno concentrando il loro confronto sul fenomeno Trump, sull’UE e sulla moneta unica, per evitare di affrontare gli aspetti che li chiamano in causa come responsabili di riforme non fatte o mal fatte, di ritardi e mancate scelte, anche dolorose, che avrebbero potuto alleggerire il debito pubblico, far ripartire la ripresa, evitare la nuova esplosione dello spread. In tale contesto di assoluta carenza di una classe dirigente adeguata non rimane che aspettarsi, quando arriverà il momento, un voto di ancora più forte protesta, che esporrebbe il Paese a pericoli enormi.

Solo una domanda: ma chi li vota tutti questi partiti ed i candidati “voluti” dall’alto?
Il popolo gragge, senza più senso di responsabilità e di vera partecipazione alla società ed alla vita.
Questa è l’Italia di oggi.