Sul divario tra la cultura dell’Occidente Anglosassone e quella dell’Europa continentale, lei ha già scritto in un suo romanzo. Vorrei esaminare con lei, in primo luogo le origini di tale diversità e poi le conseguenze che da esse possono derivare sul piano dell’economia e della politica.
Le origini sono di natura filosofica e vanno attribuite al pragmatismo, all’empirismo, alla natura anti-ideologica della civiltà anglosassone. Le conseguenze, in via generale, sono le difficoltà di un dialogo e di una comprensione reciproca sul modi di concepire l’esistenza; e quindi di impostare l’economia e la politica.
Eppure, si è sempre parlato di una cultura Occidentale come unica. Dobbiamo rivedere quest’idea?
E’ fondamentale, essenziale, direi improcrastinabile farlo! La mentalità dominante tra gli Anglo-americani è all’opposto di quell‘Euro-continentale. Quest’ultima, secondo una visione benevola, è fantasiosa e sognatrice, e secondo un punto di vista meno indulgente, è profondamente irrazionale ed emotiva. La politica in Italia e nell’Euro-continente è, con sfumature diverse, uno scontro ideologico tra persone che ritengono di detenere la verità e di essere le uniche a poter salvare i loro simili, sconfiggendo altri possessori di assiomi diversi. Per Inglesi e Statunitensi, la razionalità necessaria per governare una collettività impone agli uomini politici un solo obiettivo: capire quali siano le sue esigenze concrete per consentirle di vivere al meglio e perseguire tale obiettivo con un’adeguata politica interna e internazionale; per dirla in breve: ideologismo contro pragmatismo; certezza di detenzione della verità contro sperimentazione di un metodo per la sua ricerca.
A che epoca risale tale diversità?
Al tempo in cui gli Anglosassoni fecero tesoro del patrimonio d’idee racchiuso nel prezioso scrigno del De Rerum natura di Tito Lucrezio Caro, la cui lettura e condivisione, invece, aveva portato, nella parte continentale dell’Europa, seri guai a Niccolò Machiavelli, Giordano Bruno, Galileo Galilei, a tacer d’altri. In buona sostanza, la razionalità anglosassone risale alle concezioni empiristiche pre-socratiche (rectius: pre-platoniche) dell’antica Grecia e al pragmatismo della Roma repubblicana diffuse da Lucrezio.
A tale visione che cosa si contrappone nell’Europa continentale?
In tale parte dell’Occidente predomina una visione del mondo molto influenzata delle tre religioni monoteistiche mediorientali (ebraismo, cristianesimo, islamismo) e da filosofie metafisiche che vanno da Platone all’Idealismo tedesco post-hegeliano.
Mi sembra di capire che lei ritenga la divisione in due tronconi della cultura Occidentale un’ipotesi diacronica e sincronica al tempo stesso.
Esatto! Storicamente parlando, rientrano nell’ambito concettuale che possiamo definire in senso lato monista, corrispondente in qualche modo (mutatis mutandis) alla visione attuale empiristica degli Anglosassoni: il politeismo pagano (l’Olimpo era un monte dell’Ellade e quindi della Terra); il pragmatismo politico e giuridico greco-romano dell’epoca repubblicana; le linee religiose anglicano-calviniste dell’era contemporanea, il rifiuto inglese dello Stato non soltanto assoluto ma anche di diritto codificato in nome del rigetto della forza come espressione di ogni autoritarismo sia personale sia statale. Sempre dal punto vista storico, rientrano, invece, nella visione ricca di fantasie metafisiche dell’Universo (e quindi nella concezione che fa leva sostanzialmente sul dualismo cosmico): le tre religioni mediorientali (in primis, la religione cristiana, nella duplice forma del cattolicesimo e del protestantesimo luterano) e le filosofie laiche che da Platone in poi hanno segnato il lungo cammino dell’Idealismo (tra cui, da ultime, le dottrine filosofiche dell’idealismo tedesco, nelle versioni post-hegeliane di destra e di sinistra), lo Stato assoluto, monarchico, tirannico e lo Stato borghese, ugualmente egemone e autoritario sotto il comodo usbergo della maestà della Legge.
Altro?
Sì! Aggiunga che le dottrine, religiose e politiche, dominanti nella parte anglosassone dell’Occidente sono ispirate al solidarismo anglicano-calvinista e a una visione liberale dei fatti economici; quelle egemoni nella parte euro-continentale sono dettate da concezioni sedicenti egualitarie o comunque volte a finalità, almeno conclamate, di amore universale, di piena occupazione, di apertura delle frontiere agli immigranti, di beneficenza e di assistenza sociale ecumenica nei confronti dei poveri della Terra e così via. E’ chiaro, quindi, che il divario tra gli Euro-continentali e gli Anglosassoni non è cosa di poco conto.
Capisco. Le aperture solidaristiche sono diverse dalle concezioni egualitarie.
Oggi, poi, il contrasto è giunto al diapason.
Perché?
Perché il capitalismo è giunto in Occidente a una svolta epocale, per usare un brutto e inelegante neologismo.
In che senso?
Nel senso che la rivoluzione elettronica e digitale ha avuto un effetto più dirompente della stessa scoperta della macchina a vapore. Quest’ultima aveva messo in crisi la società agricola, e creato le premesse per quella industriale. I manufatti producevano più ricchezza dei prodotti della Terra. Oggi, l’intelligenza artificiale, la comunicazione di dati in tempo reale e l’alta tecnologia digitale consentono di produrre beni immateriali e servizi che danno guadagni e profitti maggiori di quelli ricavabili dalla realizzazione di oggetti industriali.
E allora?
Allora…. l’alto costo della mano d’opera e il peso del welfare della società industriale rendono molti manufatti dell’Occidente (quelli per così dire di non riconosciuta eccellenza) non più competitivi sul mercato mondiale; da qui, la necessità, avvertita soprattutto dai vertici finanziari del Pianeta, a causa della loro necessità di vivere di prestiti che si dimostrino ben concessi e fruttiferi, di stimolare provvedimenti degli Stati volti a provocare in modo indiretto la chiusura di molti opifici. Di quelli, cioè, che non riescono a fare prodotti di assoluta eccellenza, tali cioè da vincere la competizione con manufatti creati in aree del mondo con costi di mano d’opera meno proibitivi.
E su ciò, vi sarebbe contrasto tra le due parti dell’Occidente?
Sì! Gran Bretagna e Stati Uniti d’America, con Margareth Thatcher e Ronald Reagan avrebbero favorito l’avvento della società post-industriale, ormai consolidatasi dopo oltre un quarantennio. L’Euro-continente sarebbe ancora a metà del guado.
Perché la traversata non si compie?
Perché l’Euro-continente, da troppo lungo tempo impregnato di fideismi ugualitari e pauperismi acritici, lontani da ogni capacità speculativa di tipo laico e logico, non ha ancora imparato a guardare la realtà economica senza i paraocchi delle ideologie e delle utopie.
Ho capito. Gli Anglosassoni rimproverano ferocemente gli Euro-continentali per la pavidità nell’affrontare il cambiamento; i secondi ritorcono verso i primi l’accusa della loro indulgenza verso i ricchi e della loro preoccupazione eccessiva per le sorti dell’economia capitalistica. Lei da che parte sta?
Le rispondo con un esempio. Winston Churchill vedeva tutti i difetti della democrazia ma chiudeva i suoi discorsi, dicendo che l’uomo non era riuscito a escogitare un sistema di governo migliore e bisognava, quindi, tenerselo. Personalmente, ritengo che l’Europa continentale debba capire che anche se lo sviluppo del capitalismo fosse il male assoluto, ogni tentativo di arrestarlo si è dimostrato sempre velleitario e irrazionale ed è a maggior ragione, oggi, privo di concrete prospettive di successo. Le utopie ugualitarie, nate in Medio Oriente e in Europa continentale hanno provato a cambiare la rotta, ma hanno fallito. Anche perché i loro profeti pregavano bene e razzolavano male. Pensi alle ricchezze della Chiesa e dei gerarchi bolscevichi, cinesi, nazifascisti e via dicendo.
Perché lei ritiene il capitalismo è invincibile?
L’ho sostenuto più volte e sarà il capitolo iniziale di un mio pamphlet. Mi limito a darle una risposta, molto breve, rinviandola alla lettura del libro. Il capitalismo è, a mio giudizio, inarrestabile perché è dominante nel Pianeta la struttura patriarcale della società umana; con l’avidità proprietaria del maschio-capo famiglia che v’è strettamente connessa. I due fenomeni, capitalismo e patriarcato, simul stabunt o simul cadent.
Allora: se gli Anglosassoni hanno capito tutto ciò e non si fanno illusioni circa possibili cambiamenti di rotta, lei attribuisce implicitamente alla scarsa lucidità politica e filosofica degli Euro-continentali l’impossibilità dell’Occidente di continuare a marciare unito?
In un certo senso, sì.
Non le sembra un po’ manichea la distinzione da lei operata tra le due culture dell’Occidente.
Lo è, perché non ho avuto, sino a questa sua domanda, la possibilità di aggiungere che alla lucidità di visione degli Inglesi e degli Statunitensi si unisce il loro cinismo. Tali popoli non si preoccupano per niente della vita collettiva che si svolge fuori dei loro confini.
Come del resto, immagino, facevano anche gli antichi Romani della Repubblica! E allora?
E allora non ci deve sorprendere che, dopo molti tentativi di far prevalere il loro punto di vista sul necessario passaggio dei Paesi di più avanzato e maturo capitalismo alla società post-industriale abbiano tirato i remi in barca. L’isolazionismo implicito nella Brexit e conclamato nei primi atti della Presidenza di Trump significa ciò!
Mi sembra che lei ritenga l’isolazionismo anglo-americano difficile da rimuovere e quindi il processo avviato irreversibile?
Sì! Anche perché, come i nostri antenati della Roma Repubblicana, non prestando ascolto a Diocleziano che li aveva avvertiti del pericolo, videro travolto il loro empirismo pragmatico dalle suggestioni religiose e filosofiche dei seguaci di Cristo e di Platone, così, nel nostro tempo, la cosiddetta cultura Euro-continentale, impregnata di fideismi inneggianti, nelle parole dei leader politici, ad Alti e Nobili Valori (anche se poi sistematicamente violati dalla politica concreta degli establishment) rischiava seriamente di stravolgere il lucido liberalismo dei più avvertiti leader politici dei due Paesi Anglosassoni. Il fascino della cultura Europea, pur storicamente prona a tutti gli assolutismi dominanti da due millenni nella scena politica del Vecchio Continente, stava mostrando appieno la sua perversa efficacia: aveva stregato l’establishment dominante nei due Stati (che accompagnava alla dichiarazione dei suoi nobili intenti rapporti oscuri e sottobanco con il terrorismo di ogni tipo per ragioni economiche); aveva sedotto l’upper class, radical chic (che ne parlava con sussiego nei salotti più a la page); aveva coinvolto molta parte dell’Accademia statunitense e britannica.
Allora, a suo parere, l’Empirismo, l’Oceano, il Mare, la Brexit, il Muro e i Bandi di Trump sono venuti in soccorso dei due Paesi minacciati per tentare di sottrarli al buonismo interessato (e fonte di dilagante corruzione) dell’Europa continentale?
E’ questa la mia opinione.
A Inglesi e Nord-americani, però, ha qualcos’altro da rimproverare, dopo l’ammissione del loro cinismo nazionalistico?
I loro establishment (sino a Obama e a Cameron) si sono resi colpevoli di non avere contrastato a sufficienza i tentativi dei vertici finanziari mondiali (aventi sede a Londra e a New York) di imporre l’autoritarismo più bieco nei Paesi dell’Occidente riottosi a seguire la linea economica della de-industrializzazione. La Banca J.P. Morgan Chase, già ritenuta responsabile della crisi mondiale dei mutui subprime (e ciò, a stare ai risultati di un’inchiesta della procura di New York del 2008) ha potuto rendere di pubblico dominio un documento (report) con cui si chiedeva, senza mezzi termini, agli Stati dell’Eurozona di liberarsi al più presto dalle loro Costituzioni antifasciste, perché inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea. Nel report si legge testualmente: I sistemi politici nelle periferie (id est: europee) (n.d.r.) sono nati dopo le dittature e sono stati definiti con l’esperienza delle dittature. Le Costituzioni mostrano una forte influenza socialista che riflette la forza politica che i partiti di sinistra hanno guadagnato con la sconfitta del fascismo. I sistemi politici mostrano parecchie delle seguenti caratteristiche: esecutivi deboli; stato centrale debole nei rapporti con le regioni; protezione costituzionale dei diritti dei lavoratori; sistemi di consenso basati sul clientelismo; diritto alla protesta contro i cambiamenti dello status quo politico. Il che – potrei concludere, parodiando al contrario il finale delle pagine di Diario di Giovanni Guareschi – non è né bello né istruttivo!
Capisco: Est modus in rebus!, diceva Orazio. Se, però, le divergenze tra le due culture dell’Occidente sono così plateali, perché tante frasi pronunciate nell’oratoria ufficiale di Istituzioni interne e internazionali esaltano la tradizione di un Occidente solidamente unito?
Si tratta di espressioni vuote, pompose e ripetitive come le giaculatorie accademiche e quelle dei sacerdoti e degli sciamani nelle cerimonie religiose!
In tali condizioni, com’è potuto avvenire che la cultura occidentale, nel corso dei millenni, abbia prodotto, secondo gli addetti ai lavori in modo unitario, opere dell’ingegno, letterarie, narrative, poetiche, filosofiche, artistiche, architettoniche di spettacolo in cui tutto l’Occidente si riconosce? E’ il frutto di una comune menzogna? O se vuole di una patetica illusione? Si è sostenuto di sentire un’identità dove c’era un’abissale distanza?
Faccia…lei!
Un’ultima domanda. Se pensa ai cruenti scontri religiosi che hanno caratterizzato la nostra Storia Occidentale non ritiene che, sotto tale profilo, l’Unione Europea abbia costituito pur sempre un passo avanti rispetto alle guerre ripetute che hanno sempre funestato l’Europa?
Certamente, sì! Erano guerre di furibonda irrazionalità, verificatesi tutte o quasi nell’ambito del dogmatismo; all’inizio più religioso che filosofico: dalle tristemente note Crociate alle guerre dei Trenta e dei Cento anni, alle lotte interpersonali fratricide dell’Inquisizione cattolica. Le guerre ideologiche di tipo laico cominciano solo dopo: nell’era moderna, quelle del Terrore post-illuministico e, infine, le terrificanti distruzioni della prima e della seconda guerra mondiale.
Allora, il sogno dei Padri fondatori della Comunità Europea di creare una sola unità politica, oltre che economica, non può ritenersi miseramente fallito?
Svuotato, soprattutto dopo l’estensione dell’Unione a ben ventisei Stati-membri. Pur nella sua comune tendenza all’ideo-crazia, l’Europa continentale è diventata un magma indistinto e confuso di concezioni antitetiche e spesso contrarie le une alle altre; a partire dalla religione. Quella cristiana è rappresentata da tutte le sue componenti eretiche e scismatiche che l’hanno dilaniata nel corso dei secoli. E sul piano filosofico, le cose stanno anche peggio! L’Idealismo tedesco di sinistra è stato reso confuso dalle varianti slave, leniniste, staliniste; quello di destra serpeggia in ogni Paese dell’Euro-continente e si ammanta di un populismo che diventa sempre più aggressivo. Dipanare, quindi, la matassa della cosiddetta comune tradizione anche solo Europea non è facile!
Si può capire, allora, perché molti giovani d’oggi rifiutano la cultura dei padri e prediligono l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America?
Certamente, rifiutano gli insegnamenti della nostra accademia e della cultura ufficiale dell’Europa continentale che ha plaudito, con opere letterarie, storiche, filosofiche, teatrali, cinematografiche, televisive a fatti e misfatti del passato, pur se di segno diverso. Oggi l’unico riferimento valido per i giovani è alla cultura anglosassone. E’ lì che si trovano ancora veri pensatori liberi. I libri che leggono, le produzioni cinematografiche o seriali televisive che vedono con piacere e interesse sono di provenienza inglese o americana. Solo quelle opere sono, a loro giudizio, veramente sincere, anche iconoclastiche e sempre anticonvenzionali.
Beh! Un tentativo di sintesi, però, può farsi!
Se proprio insiste, si potrebbe dire che il pensiero dell’Occidente, ridotto, per così dire all’essenziale, si può scomporre sinteticamente in due filoni: in una linea, per così dire monistica, e un’altra dualistica del Cosmo, o no. Si può sostenere, naturalmente, ma tra le due squadre in campo non v’è partita sotto il profilo dei numeri. Soltanto, poca gente ritiene che ci sia un solo mondo. Al mondo materiale e atomistico dei corpi vaganti nell’Universo e che, anche negli spazi vuoti, non lascia vedere, a pur potenti telescopi, alcuna Corte divina o celeste crede una sparuta minoranza di abitanti dell’Occidente. Sono molti e certamente di più quelli che immaginano una pluralità di miliardi e miliardi di anime di morti, vaganti nello spazio. La maggioranza degli Euro-continentali ritiene che i mondi siano due: uno terreno e uno celeste o dell’aldilà. E’ poca, molto poca, la gente che vede come unica realtà conoscibile la Natura.
Che futuro per l’Euro-continente, secondo le sue non ottimistiche previsioni?
La seconda guerra mondiale contro il nazifascismo, la guerra fredda contro il comunismo, il maccartismo in casa propria degli Statunitensi e la votazione favorevole all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (tuttora dominata da forze ideologicamente orientate contro l’empirismo e il pragmatismo), la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali Nord-americane hanno rappresentato e rappresentano, insieme, la proiezione di un netto disagio dei Paesi Anglosassoni a sentirsi parte di un Occidente, erroneamente considerato, culturalmente unico. Gli Anglosassoni, prendendo a guida la storia dell’antica Roma repubblicana, non intendono più combattere battaglie di pensiero contro il monoteismo mediorientale, nelle sue tre articolazioni, e contro i residui storici dell’Idealismo tedesco. L’empirismo pragmatico anglosassone potrà resistere alla forza distruttiva e devastante delle forme più violente, aggressive e rissose di quelle tre religioni, nonché ai rigurgiti di fascismo e comunismo solo con la politica isolazionistica che è stata abbracciata. Gli strumenti di alta tecnologia inventati consentiranno efficaci forme di difesa. Occorre, per loro, evitare soltanto il rischio del fuoco amico: molti terroristi religiosi sono cittadini occidentali anche se in origine provenienti da altri Paesi e Continenti.
