Il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali francesi ci consegna un Paese spaccato in due, al pari del resto del mondo occidentale, come in Gran Bretagna nel voto per la Brexit o nelle presidenziali americane. Da un lato un voto di pancia, insoddisfatto, a volte allarmato, che proviene delle campagne e dall’altra quello del più riflessivo mondo delle città, preoccupato di non distruggere tutto, di non assumersi la responsabilità di disintegrare l’Unione Europea. Anche se con espressioni di segno apparentemente contrapposto, gli elettori delle due aree estreme di destra e di sinistra, votando massicciamente per Marine Le Pen e Jan-Luc Melenchon, hanno dimostrato tutta la propria insofferenza e rivoltosa voglia di cambiamento. L’altra metà dei francesi hanno scelto la responsabilità, in parte attraverso un voto di fedeltà ai partiti tradizionali, che si è manifestato in una maggiore tenuta del partito gollista, nonostante gli errori personali di Francois Fillon, mentre l’elettorato socialista ha poco gradito il candidato radicale Benoit Hamon, riversandosi in gran parte su Emmanuel Macron, che ha catalizzato anche il consenso di quella Francia riflessiva che, stanca dei partiti tradizionali, cerca un cambiamento razionale, senza pericolose avventure. Due Paesi diversi e contrapposti si sono visti chiaramente nei discorsi pronunciati dai candidati che andranno al ballottaggio. Marine Le Pen ha mostrato un piglio alla Robespierre, con parole piene di spirito rivoluzionario ed antieuropeo, volto a stimolare lo sciovinismo dei francesi, con una supponente voglia di grandeur e di cambiamento radicale, usando parole cariche di emotività, di venature xenofobe e di richiami alla lotta politica. A propria volta l’algido Macron, ha pronunciato un discorso piatto, senza anima, rivelando la sua formazione di perfetto esponente di quel burocratico mondo dell’ENA, che ha prodotto gran parte della classe dirigente francese. Un lucido economista, un uomo della concretezza, poco incline alla retorica, razionale, ma consapevole del rischio enorme che correrebbe una Francia, che, come il Regno Unito, scegliesse la strada dell’uscita dall’Europa e dall’Euro, determinandone il tracollo. È apparso, forse anche per l’inesperienza e la giovane età, timido ed insicuro, fortemente condizionato dalla personalità della moglie Brigitte, oltre che incapace di slanci emotivi. Pur rivendicando un progetto di cambiamento attraverso il suo nuovo movimento, si è rivolto già alle forze politiche tradizionali per ottenere il consenso necessario per prevalere sulla sua avversaria e con le quali governerà il Paese nei prossimi cinque anni.
Il segnale che emerge da questo turno elettorale, che ha già disegnato la figura del vincitore, è quello della stabilità e della ricerca di un ruolo più incisivo in Europa. Unica incognita rimane la misura del suo vantaggio tra due settimane, che dipenderà principalmente da due fattori: una forte astensione favorirebbe Marine. Altro fattore rilevante sarà la misura in cui il voto dell’estrema sinistra antieuropea si concentrerà sulla candidata del Front National o preferirà non schierarsi.
Maggiore sarà il margine di vantaggio di Macron, altrettanto grande sarà la sua autonomia dai partiti tradizionali, in particolare dai gollisti, in quanto ciò che rimane del partito socialista si è già arruolato.
