Per iniziativa di un gruppo di iscritti al PLI è nata l’associazione “Stato minimo” allo scopo di supportare il partito nella diffusione della cultura politica liberale e liberista. Il nome, per quanto possa prestarsi a qualche fraintendimento, è significativo di un’ispirazione di fondo pienamente coerente con la linea programmatica del partito.
In primo luogo, è opportuno sottolineare che il nostro Stato minimo non è minimo nella sua autorevolezza, nella sua indispensabile forza intimidatrice, nella sua efficacia amministrativa; bensì minimo nella dimensione degli apparati burocratici, nella proliferazione delle competenze, nella legislazione settoriale e particolaristica. La storia dell’umanità conferma ciò che il senso comune ci fa intuire: quanto più vasto è il territorio d’intervento dell’apparato pubblico, tanto minore è l’efficacia dei suoi interventi; quanto più cresce a dismisura la legislazione emergenziale-provvidenziale, con intenti altamente “sociali” (si capisce), a favore di questa o quella categoria, ovviamente “sfavorita”, “disagiata” o “emarginata”, tanto più si smarrisce il valore fondante della democrazia: l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, universale e astratta. La ricerca della fatidica e impossibile uguaglianza di arrivo ci preclude quell’unica possibile su questa terra: l’uguaglianza nelle opportunità di partenza.
Per inseguire un traguardo irraggiungibile, si adottano tutte le politiche “discriminatorie” e “redistributive” possibili, giacché la distribuzione operata dal mercato è considerata “ingiusta” per definizione. Ma si trascura un piccolo e insignificante particolare: che il mercato ha un’etica intrinseca e distribuisce imparzialmente, sicché la “redistribuzione” sarebbe eticamente giustificata solo a fronte di redditi illeciti. E si trascura un altro piccolo e insignificante particolare: che la legislazione di “favore” e “disfavore”, alla ricerca dell’uguaglianza c.d. “sostanziale” (o di risultato), moltiplica l’ingerenza e l’invasività dello Stato, e per esso dei suoi apparati coercitivi, configurandosi come la moderna “via della schiavitù” (secondo il prezioso insegnamento di Von Hayek). Ciò che lo Stato “elargisce” con le sue politiche redistributive non è affatto gratuito; ha un prezzo molto alto e per noi liberali insopportabile: il restringimento delle nostra libertà.
In secondo luogo, nel dichiararci liberisti, siamo consapevoli di andare incontro a un altro possibile fraintendimento, E’ duro a morire il pregiudizio, divenuto un luogo comune giornalistico e perfino una leggenda popolare, che vuole il liberismo economico sempre e comunque selvaggio. La libertà che rivendichiamo è ben diversa dall’arbitrio e giammai è disgiunta dal rischio personale; in poche parole, si chiama “responsabilità”. L’inscindibile connessione libertà-responsabilità, diritto-dovere è la base etica dell’autentico mercato – il solo degno di questo nome – nel quale gli operatori economici assumono un rischio diretto e personale, ben diverso dagli pseudo-mercati nei quali gli pseudo-imprenditori rischiano il capitale altrui ovvero scommettono sui successi o gli insuccessi altrui con denaro altrui.
Alla prima categoria – di coloro che rischiano il capitale altrui – appartengono i nostri burosauri “assistiti” dalla grande mamma che si chiama Stato. Costoro, dandosi ovviamente le arie dei grandi managers, confidano sulla nostra “assistenza”, la quale si atteggia in due forme: o nella forma della partecipazione diretta del capitale pubblico, ossia appartenente a noi tutti, al rischio d’impresa; o nella forma del “risanamento”delle imprese in perdita, che viene a gravare sul bilancio pubblico. Insomma, in entrambi i casi, gli italiani “assistono” impotenti all’utilizzo improprio, se non allo sperpero, del denaro pubblico.
Alla seconda categoria – degli scommettitori con denaro altrui – appartengono altri grandi managers, tipologicamente diversi dai primi, giacché non dirigono imprese di produzione, ma muovono solo i capitali finanziari, nazionali e internazionali. Fin quando la scommessa del finanziere, che verte sul successo imprenditoriale altrui, mette a rischio il capitale finanziato, il fondamento etico del mercato è rispettato. Non lo è più, quando il rischio del finanziere è riversato, magari per vie tortuose e occulte, sul “parco buoi”. Ed è questo il caso di molti prodotti finanziari “derivati”, la cui ratio consiste nel riversare sui “terzi”, “quarti” e “quinti” il rischio che dovrebbe gravare sul “primo”. Ed è questo il caso, ancora più macroscopico, dei “grandi” banchieri italiani, che riescono a conseguire il loro personale bonus perfino quando conducono al fallimento le loro banche.
Ciò premesso, è lecito chiedersi da quale pulpito viene la predica. Assistiamo a questo paradosso: coloro che ringhiano contro il nostro liberismo presunto “selvaggio” sono o i diretti protagonisti delle grandi performances di sistematico dirottamento del rischio d’impresa o i loro sostenitori politici. Basti pensare che il ben noto finanziere internazionale Soros è animato da intenti “umanitari” e “solidali”, ovviamente “progressisti”, riconducibili al firmamento politico che lotta contro il “liberismo selvaggio”. In verità quell’aggettivo “selvaggio” competerebbe proprio ai c.d. “mercati” dominati dagli gnomi occulti che manovrano lo spread e altre amenità, sopra le teste di noi tutti, senza alcuna assunzione di responsabilità personale.
In sintesi, il nostro “Stato minimo” è ben diverso da quello che dipinge in maniera volutamente distorta l’imperante luogocomunismo. La nostra causa liberale e liberista non è quella di eliminare le “regole”; è quella di regolare la libera iniziativa degli uomini, non già di regolarne la soppressione. Ci muove la consapevolezza che la libertà in campo economico è parte integrante dei diritti di libertà, universali e naturali, impressi nello stesso corredo genetico della persona umana e preesistenti a qualsiasi forma statuale; è nient’altro che quel “diritto di ricerca della felicità personale” riconosciuto nella costituzione americana. Sottovalutare o peggio calpestare questo diritto equivale a denegare il fondamento stesso della convivenza umana.

Agli amici liberali di Facebook che già da diversi anni seguono il gruppo Stato minimo da me fondato, confermo che questa Associazione rappresenta la naturale evoluzione di quel progetto, un processo che dalle buone idee intende far partire buone iniziative concrete per incidere sulla realtà.
Ringrazio Michele e gli altri valenti amici che hanno dato vita con me a questo “think tank”, e ricordo che il gruppo pubblico Stato minimo resterà comunque la porta di comunicazione via Facebook con noi, anche per chi volesse associarsi o contribuire in qualsiasi modo alle iniziative dell’Associazione.
Iniziativa impeccabile,Luca,presentata in modo magistrale,poiché solo la libertà economica realizza,in via sostanziale,quella dal bisogno,imprescindibile per declinarne tutte le altre tipologie.Ad maiora.
Questa iniziativa culturale e politica segna un altro passo in avanti nel cammino delle idee liberali in un contesto politico caratterizzato, soprattutto, dalla irresponsabilità dei decisori politici. Coltivare e seminare sane idee liberali, nel solco tracciato da grandi liberali come, ad esempio, Luigi Einaudi, è il modo giusto per elevare il livello culturale e politico di chiunque voglia guardare al futuro del nostro Paese. La strada imboccata è anche quella della lotta politica al “politicanesimo dei trafficanti”. È tempo, quindi, della “costruzione”. È tempo della partecipazione, non della esclusione e dell’abbandono dell’impegno politico-culturale. Complimenti a Michele Gelardi, a Luca Maria Blasi, a Marco Ertman e a tutti gli amici protagonisti di questo impegno.