Non vorrei che il direttore responsabile del giornale, che ospita generosamente e con grande apertura i miei scritti (a dir poco “provocatori”), dopo questo mio ulteriore intervento, sul tema dei miei due precedenti articoli, cambiasse il titolo da “Rivoluzione” a “Restaurazione” liberale.

Difatti, il problema che oggi vorrei pormi è: esiste ancora, in Occidente (che è la parte di mondo che a noi interessa) una democrazia liberale, sia pure in “fase crepuscolare”?

C’è chi ritiene di dover dare una risposta, almeno, dubbiosa per l’avanzata che si teme incontrastabile dei “populismi”, come se “popolus” non fosse, in latino, l’esatto equivalente  del termine greco “demos”.

Se fosse così, non ci sarebbe da temere alcunché per la buona salute della democrazia liberale: sarebbe pur sempre la gente a dominare la scena.

La verità è, invece, che le cose non stanno più così. Sono divenute, di colpo, del tutto fantasiose e inverosimili due idee che hanno sempre accompagnato lo sviluppo dell’Occidente: sia quella religiosa che al mondo vi siano a combattersi forze del Bene, da una parte, e del Male, dall’altra; sia quella, politica (oltre che anch’essa cattolica) che il contrasto sia, invece, l’eterno riflesso della lotta tra ricchi e poveri, iniziata con l’apologo del cammello di Gesù Cristo e perfezionata dal “che fare?”  di Lenin.

Qualche “veggente” s’è accorto, all’improvviso, che a muovere le marionette della politica, nel nostro Occidente, siano, oggi, soltanto due schieramenti di “ricchi sfondati” in posizione ovviamente contrapposta.

Naturalmente, è anche molto probabile che (come all’epoca del contrasto, tutto italiano, tra la loggia detta P2 e quella di Palazzo Giustiniani) il conflitto tra tali “Super-Paperoni” trovi la sua sede di elaborazione, per così dire, concettuale, in sedi diverse della Massoneria mondiale e che si concentri soprattutto nell’acquisizione dell’appoggio dei mass-media, ormai tutti in mano di gente più che facoltosa ( e quindi amica).

Se così fosse, il nome “democrazia” sarebbe diventato soltanto il paravento multi-colore, dietro cui si sviluppa uno scontro titanico tra big dei vari tipi di attività, lato sensu, produttiva.

Non si spiegherebbe, altrimenti, l’alternarsi al potere, da un lato, degli establishment vicini a quello che il direttore definisce il clan dei Clinton (ma si potrebbe aggiungere degli Obama, dei Blair e dei Cameron) e dall’altro, dei gruppi di pressione facenti riferimento, a tacer d’altri, a Donald Trump e a Teresa May.

Così come, nell’Europa continentale, gli avvicendamenti delle fortune politiche dei Renzi, dei Macron, delle Merkel e quelle dei Kurz, dei Salvini e dei Grillo, sempre a tacer d’altri, risponderebbero a logiche che la gente comune, male o dis-informata, non potrebbe certamente capire.

Perché questo conflitto tra “titani” dell’economia mondiale? Si può “tentare” una risposta.

Il mondo dei ricchi produttori di beni e di servizi nell’Occidente, dopo le esperienze di governo di Margareth Thatcher e di Ronald Reagan, si è profondamente diviso, secondo una linea geografica che diversifica, in modo profondo, l’Europa continentale da quella insulare e dal Nord-America.

Nei Paesi più avanzati, infatti, che sono quelli Anglosassoni, gli imprenditori sono, ormai prevalentemente, post-industriali: producono, con l’aiuto dell’alta tecnologia (digitale, elettronica), beni immateriali o manufatti di grande eccellenza qualitativa oltre che servizi di considerevole utilità ed efficienza.

Nei Paesi dell’Europa continentale, certamente più arretrati, solo pochi imprenditori sono stati capaci di fare il “salto” nella società post-industriale. Gli altri hanno continuato a dimenarsi in crisi economiche ripetute e successive; come le scosse di un terremoto con lungo sciame sismico. I più hanno annaspato nella ricerca di sistemi leciti e illeciti per fare fronte alla mancanza di competitività dei loro prodotti manifatturieri, divenuti troppo costosi (a causa, peraltro, di politiche dissennate in materia sindacale e di Welfare, il tondino di ferro fatto in Europa, che non è diverso da quello di un Paese del Sud-est asiatico, costa circa due terzi più del secondo).

Altri, non riuscendo a imprimere una svolta alla loro economia hanno condizionato, pesantemente, le linee direttive delle varie Associazioni confindustriali locali, per far richiedere misure di sostegno alle corporazioni rappresentate.

Solo pochi di essi (soprattutto in Germania e in Svezia) hanno potuto aspirare a diventare proprietari di colossi europei dell’industria meccanica mondiale, concorrente con quella degli Stati Uniti d’America, quanto a eccellenza dei manufatti.

Ora è naturale che nella lotta politica, gli Inglesi e gli Americani, meno “incartati” nelle logiche del passato vetero-industriale, hanno dato il “ben servito” ai vecchi establishment  coinvolti nella politica di rapporti ambigui con alcuni Stati-canaglie, per trovare un ultimo sostegno  per l’industria manifatturiera tradizionale, soprattutto in materia di armamenti.  Essi, in buona prevalenza, si sono orientati verso leader capaci di porre uno stop soprattutto all’immigrazione indiscriminata, limitandola a quella di mano d’opera altamente qualificata e specializzata, utile alla loro società post-industriale.

Gli Euro-continentali, invece, hanno chiesto agli uomini politici, di favorire i flussi immigratori. E ciò perché l’utilizzazione di nuova mano d’opera a basso costo, poteva, a loro giudizio, salvare le industrie manifatturiere in crisi competitività  e aiutare ancor più i prodotti già eccellenti dell’industria meccanica a competere con quella Nord-americana (con l’aiuto di mano d’opera straniera, si era già determinato il miracolo di BMW, Mercedes, Audi,  Volkswagen e Volvo).

Un ruolo importante nell’orientamento dei “paperoni” Euro-continentali ha giocato, come sempre, anche  il Vaticano, orientato sia a incrementare le sue finanze (naturalmente a fini conclamati  di beneficenza)  con gli introiti  delle cosiddette cooperative bianche sia ad acquisire meriti verso i mussulmani nel disegno di una futura integrazione religiosa.

La lotta in atto tra classi agguerrite di “ricchi” dell’una e dell’altra parte dell’Occidente è diventata, come suol dirsi, “senza quartiere” e ignora completamente le esigenze sia del demos, sia del populus e sia di quei medio-borghesi che continuano a sentirsi al centro dell’Universo.

Intanto, la politica dei “super ricchi” vincenti dei Paesi Anglosassoni, empiristi e calvinisti, va avanti nel suo cammino inarrestabile: non retrocede di fronte ai diktat moraleggianti sia della Chiesa Cattolica sia delle Organizzazioni (cosiddette umanitarie o più semplicemente politiche) di carattere internazionale.

Ciò, naturalmente, soltanto nell’emisfero più ricco dell’Occidente.

Quelli, invece, della parte non insulare del Vecchio Continente, forti del consenso della Chiesa, puntano all’ipotesi di un ripristino di una sostanziale forma di schiavitù (d’immigrati prevalentemente di origine centro-africana e di regione mussulmana), incuranti di una ripresa di violenza, per conflitti religiosi, nella vita delle nostre comunità.

Intanto, come dice un vecchio proverbio, mentre gli asini litigano, i barili si rompono.

La classe dei “politici”, ridotta al ruolo servente di un gruppo di marionette al servizio di burattinai sia palesi sia occulti, non riesce più a reclutare per le sue file persone di qualità ed è composta ormai solo di gente senza arte né parte ansiosa di  darsi un ruolo nella società, oltre che per sete di potere e di ricchezza.

Gli intellettuali dell’uno e dell’altro emisfero occidentale, stanno a guardare (come le stelle di Cronin) comprendendo ben poco di ciò che avviene nelle supreme sfere dell’economia mondiale, ma per non perdere l’antica abitudine all’invettiva folgorante  e furente, imprecano contro la disgregazione, la frantumazione, lo sgretolamento, il malcostume della società.

Nei salotti dei borghesi-bene si ripetono gli stessi sdegni, assimilati con la lettura dei giornali e con l’ascolto d’incivili talk-show televisivi, ma si continua a incolpare dei misfatti, a seconda delle proprie, vecchie inclinazioni, la destra fascista, la sinistra sovversiva e “mangia-bambini, o la democrazia cristiana, ritenuta la forza sempre più rassicurante, come se nulla fosse accaduto dai tempi di De Gasperi a oggi.

Il popolo minuto diserta le urne e si chiede, nell’attesa di tempi migliori, se, in base alle elucubrazioni degli intellettuali possa continuare a definirsi “demos” o se debba invece sentirsi degradato e chiamarsi “populus”.

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