I modi della protesta politica contro l’asserito malgoverno dei detentori, pro tempore, del potere di gestione della res publica possono essere diversi.

V’è, in primo luogo, la contestazione con minacce, urla ingiuriose, invocazioni “gridate” di forconi appuntiti, per fare giustizia sommaria e, nella sua forma più recente, con molte espressioni di “Vaffa” a piena voce. E’ questa la forma che coagula i consensi degli individui più scalmanati che scendono in piazza scamiciati e vocianti e che i benpensanti subito definiscono pericolosi estremisti, paragonandoli ai comunisti del dopoguerra, quando correva voce che i “trinariciuti” (come li rappresentava Giovannino Guareschi sul “Candido” con tre narici ben aperte per meglio inspirare e assorbire nel profondo le parole dei “capi”) mangiassero i bambini.

V’è, poi, la riprovazione dell’opera della classe egemone nel Paese che è puntigliosamente motivata, efficacemente argomentata, eloquentemente rappresentata, facendo ricorso a una dialettica serrata, implacabile, accanita, inesorabile da veri, aspiranti giudici del Tribunale della Storia.

Questa forma soddisfa le classi più colte e può essere, persino, da esse condivisa, ma non riesce a fugare il sospetto dei cosiddetti “uomini d’ordine” (ve ne erano, pure, tra i nazisti e ve ne sono tuttora, nascosti nei salotti-bene della media borghesia) che dietro quegli “arruffapopoli” eloquenti e forbiti possa nascondersi una moltitudine di assatanati ribelli in grado di mettere a rischio la tranquillità che, a ragione o a torto, si ritiene da ciascuno raggiunta e “il peculio” accumulato dopo molti anni di mal retribuito “servizio”, pubblico o privato, esplicato con sacrificio e asserita dedizione a cause superiori.

V’è, infine, la condanna, pronunciata nei confronti degli altri con mal celata sicumera, alterigia e supponenza (che non conosce, anche per motivi culturali l’ironia leggera e preferisce il pesante sarcasmo), e che si sostanzia in “rodomontate” simili a quelle dei praticanti del “braccio di ferro” nei bar paesani o degli appartenenti a tifoserie calcistiche contrapposte inneggianti a vittorie, sul campo, oltremodo sicure.

Quest’ultima forma è bene accetta dai “politicanti” dell’antica, italica tradizione, perché rende, alla fine, omogenea la protesta dei ribelli alle consuete spavalderie di piazza di tutti gli imbonitori “pallonari” della politica italiana. Rischia, però, di deludere i seguaci di lunga data dei movimenti di protesta, ingenerando il timore di una poco commendevole “metamorfosi”, in vista del voto elettorale, atta a far perdere le connotazioni originarie della contestazione.

Per ciò che riguarda l’Italia, il Movimento delle Cinque Stelle, espressione più coerente della protesta, (seguito, nella scia dei contestatori, dalla Lega di Salvini, peraltro, con molta ambiguità nelle alleanze stipulate) ha offerto all’elettorato italiano esempi di ognuna delle tre forme di protesta.

Dal “vaffa” di Grillo si è passati alle denunzie puntigliosamente dettagliate e motivate di Alessandro Di Battista (detto “Dibba”) e poi, ancora, alle “spacconate”, un po’ da guascone, di Luigi Di Maio, comunicatore indefesso di dati statistici che lascerebbero prevedere un trionfo elettorale pieno del Movimento.

C’è, però, chi nelle ultime “esternazioni” un po’ fanfarone e blagueur del più giovane aspirante italiano alla Presidenza del Consiglio, infarcite di elaborazioni previsionali sull’economia confortanti o rassicuranti, ha creduto di cogliere il segnale di una caduta verticale almeno di una delle stelle iniziali dal simbolo elettorale del Movimento.

Esse mirerebbero a nascondere una sorta di ridimensionamento della contestazione circa l’opera degli uomini politici del “decennio nero”, per il desiderio di acquisire maggiori consensi da parte di elettori cauti e “timorati di Dio”, sempre preoccupati di compiere salti in quel buio in cui sono già abbondantemente sprofondati, da almeno un decennio. Ovviamente, senza essersene accorti.

C’è, però, chi ha rilevato che ciò sarebbe un fondamentale errore di calcolo dei “pentastellati” che rischierebbero di perdere anche i voti di chi, pur non aderendovi, aveva colto nel Movimento una volontà di riscatto dalle pastoie ingannevoli dei partiti politici della nostra tradizione democratica, divenuta in questi ultimi anni, abbastanza sgangherata.

Discettando (secondo molti esperti, senza capirne molto) di PIL, SPREAD, crescita economica, sviluppo e tasse e di altra minuzzaglia pseudo-economica, essi finirebbero per dimenticare il loro vero obiettivo che, a molti cittadini era sembrato commendevole: l’opposizione ferma e decisa al disegno autoritario, ispirato dalle grandi centrali finanziarie e perseguito sia dalle forze del Centro-Destra sia da quelle del Centro-Sinistra.

Sorrette dai mass-media (interni e internazionali) tali forze lo hanno già reso concreto con la sfilza di leggi elettorali anti-democratiche e anti-costituzionali (quelle, per intendersi, che vanno dal Porcellum al Rosatellum).

Per recuperare la “stella”, allo stato in caduta libera, alcuni politologi ritengono che il Movimento non abbia da fare nulla di diverso rispetto a ciò che fanno albergatori e ristoratori per riprendere quota nelle guide Michelin: rivedere i servizi e il menù offerto alla clientela, che, nel caso specifico è l’elettorato.

A volte basta il ripristino di un servizio fondamentale o l’invenzione di un piatto solo di particolare squisitezza per guadagnare nuovamente i galloni dell’eccellenza.

Fuor di metafora, per il Movimento che ha avversato il Rosatellum con tutte le sue forze ed energie sarebbe di grande impatto sull’elettorato dichiarare, apertis verbis, che in caso di incarico a esso affidato s’impegnerebbe per ridurre i tempi della legislatura allo stretto necessario per varare una legge elettorale, proporzionale con pluralità di liste o maggioritaria uninominale, secondo lo schema classico adottato in altri Paesi democratici, senza alcun ricorso a marchingegni che ne alterino il funzionamento a vantaggio di una forza politica.

Un programma, che tra i pur tanti progetti di iniziative dirette a favorire la già iniziata ripresa economica, contenesse una prima misura tesa a ridare credibilità e certezza alla nostra traballante democrazia, rassicurerebbe certamente gli amanti della libertà, i liberali di fatto più che di nome, gobettiani o non, ma certamente non pavidi e ben lontani dai partiti del famigerato “decennio nero”, che sono, fortunatamente, ancora presenti nella società italiana.

* Il Presidente Mazzella collabora stabilmente con Rivoluzione Liberale da autorevole giurista indipendente.

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