Rimpiangere le occasioni, concrete e possibili, di vita che si siano “mancate” ha un senso; rimpiangere i sogni che non si sono realizzati, non ne ha alcuno.
E’ questo il caso, per esempio, di versare lacrime sulla fantasia accarezzata dai padri fondatori della Comunità Europea di realizzare un’Unione politica, una sorta di Stati Uniti d’Europa.
L’idea è abortita malamente per l’insipienza dei loro successori. L’intelligenza vuole solo che se ne prenda atto.
Piangere sul naufragio del sogno europeo dei padri fondatori, citare i loro nomi costringendoci a versare lacrime per quanto è accaduto contro le loro nobili intenzioni, rischia di diventare il leit motivdegli scontenti cronici, dei piagnucoloni per vocazione, dei pigoloni amanti della lagna continuativa e ripetuta.
Occorre dire un alto e forte:basta! E’ vero e incontestabile che la montagna ha partorito soltanto un repellente topo grigiastro ma il problema, oggi, è solo quello di decidere che cosa vogliamo fare del ratto dall’ispido pelo e dalla lunga coda.
In altre parole, vogliamo convincerci, senza piangerci addosso che:
a) l’ auspicata Unione politica ha generato solo un’unione di burocrati di un numero straripante di Stati con esperienze storiche, amministrative di gran lunga diverse tra di loro e contraddistinte dall’unica nota comune di far parte di un Continente che, dopo l’uscita della Gran Bretagna con la Brexit,ha potuto cogliere, per ragioni religiose e filosofiche solo barlumi di libertà sotto la cappa opprimente di teocrazie e tirannie civili spesso asfittiche e repressive?
b) a causa della sua servile vocazione a piegarsi ai potenti di turno è diventata la longa manusdei poteri finanziari, industriali e informativi, arroccati negli Uffici della Finanza mondiale di Wall Street e della City e che ha continuato (e continua) supinamente a seguirne le direttive, pur dopo la protesta inglese e statunitense che ha consentito di fare fuori, elettoralmente, i vecchi establishmentdi quei due Paesi Anglosassoni, divenuti completamente dipendenti dal sostegno economico e mass-mediatico dei grandi istituti del credito mondiale?
c) subisce l’intromissione politica, negli affari dei singoli Stati-membri, delle Banche d’affari (o anche solo tradizionali), delle Borse, delle Agenzie di ratingche con le loro valutazioni, con i loro reporttendono a orientare l’azione politica di giovani e spesso inesperti leader, nati e allevati in vitro(non si sa come né dove) per essere catupultati, con l’aiuto di personalità di spicco, setacciate (ciò è noto) con l’ausilio di adeguati filtri, in tenzoni elettorali che i mass-media, tutti di proprietà padronale o politica (di un certo tipo) hanno il compito di configurare e modellare in modo utile per consentire il successo anche di individui del tutto anonimi e sconosciuti?
Se la risposta affermativa a tali domande non ci lascia del tutto indifferenti, bisogna fare un passo avanti e chiederci se, seguendo i suggerimenti dei frignoni del latte versato, gli Europei dovrebbero:
a) continuare a ballare i minuetti che ci sono imposti da Bruxelles, eludendone, però, furbescamente le “mosse”, come ci ha spiegato su questo giornale Teodoro Klitsche de la Grange a proposito della direttiva Bolkenstein;
b) accettare che a tenere le chiavi per l’apertura dei patri confini siano Stati esteri, compresi quelli ospitati nel proprio territorio (e il riferimento, per l’Italia, non è la Repubblica di San Marino, che pur potrebbe, per la forza degli esempi, essere indotto a provarci!);
c)accettare di buon grado modifiche alle loro Carte fondamentali, Costituzioni, Statuti, persino su norme delicate come quelle del pareggio di bilancio, (continuando, peraltro, a disamministrare, in tutta allegria, le finanze pubbliche);
d) applicare anche a livello dell’Unione la regola “gattopardesca”, che, secondo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ha sempre contrassegnato la politica del Bel Paese;
e) astenersi dall’invocare un ritorno alle condizioni iniziali della comunità economica (abolizione di dazi doganali, agevolazioni di varia natura e così via) rinunciando all’impossibile fantasia di un’unità politica senza un comune sostrato filosofico o di pensiero politico e senza vere e proprie Autorità di governo;
f) ripristinare le sovranità degli Stati inutilmente o dannosamente cedute all’Unione, in quanto non coerenti con il disegno di un’unità di carattere meramente economico e non politico.
Rinegoziare un patto non significa disconoscerne l’utilità e la convenienza, ma solo adeguarlo alle mutate condizioni storiche.
E le condizioni politiche sul Pianeta non sono più quelle dell’immediato dopoguerra. Sono cadute le ideologie perverse del secolo breve e sono crollati gli Imperi che su di esse erano stati tirannicamente costruiti.
Il mondo si dice ormai concordemente “liberale”, ma è sul significato di tale termine che occorre intendersi. Gli iper-liberisti di Wall Street e della City invocano per se stessi una libertà sconfinata che annulla le libertà degli altri comuni mortali (non a caso il report della Banca J.P.Morgan Chase,reso noto in Italia, suggeriva ai nostri governanti di guardare con benevolenza ai metodi del fascismo negli Stati dell’Unione Europea).
Un liberale, quindi, non può essere iper-liberista né può condividere i messaggi che provengono dalle sedi della Finanza modiale.
Quei poteri, un tempo egemoni, dominanti, senza avversari (dopo la diaspora comunista) oggi sono contestati dai Governi ufficiali dei due Paesi Anglosassoni: Gran Bretagna e Stati Uniti d’America.
Un liberale non può che vedere con soddisfazione tale inversione di tendenza delle due maggiori democrazie mondiali e attendere, quanto meno fiducioso, gli sviluppi del contrasto in atto tra chi tende a un’illimitata globalizzazione e chi intende ripristinare, a livello di singole collettività, le condizioni per l’osservanza di un rigoroso patto sociale, fondamento di una vita coesa e democratica.
Un liberale Europeo non può starsene con le mani in mano e attendere che l’Unione si riscatti dal servaggio sin qui sempre manifestato verso le Centrali finanziarie e accettare che svolga, in conseguenza, una politica sostanzialmente ostile ai due Paesi Anglosassoni, che hanno interpretato correttamente i bisogni di una collettività liberale.
I bisogni meramente creditizi e monetari dell’alta finanza mondiale hanno certamente un loro titolo di legittimazione ma non possono certamente prevaricare i bisogni di libertà di varia natura dei cittadini dei vari Stati del Pianeta.
